Il seme tra le stelle settembre 2299

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GUIDO FARIELLO

IL SEME TRA LE STELLE
(SETTEMBRE 2299)



Era iniziato tutto alla fine della prima decade del ventunesimo secolo.
Nel deserto della California, Stati Uniti, a una latitudine di 38° 00’ 59’’ Nord e una longitudine di 119° 00’ 33’’ Ovest, si trova il “Mono Lake”, un lago di tipo endoreico, con un bacino di utenza di 780 miglia quadrate, una superficie di sessantanove miglia quadrate, con una profondità media di 17 metri e massima di 48, facente parte di un parco naturale.
Dentro le tranquille acque di questo lago che presentavano la più alta concentrazione di arsenico, fu scoperto un batterio che, ad una prima analisi, sembrava fosse in grado di assimilare questa sostanza e sostituirla al fosforo per le funzioni vitali.
Fino allora, era convinzione che gli esseri viventi della terra avessero tutti la stessa struttura biochimica fondata sul carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, zolfo e fosforo, perciò nominati “CHNOPS”.
Quel piccolo essere vivente, invece, pareva che avesse sostituito un potentissimo veleno a uno dei sei elementi, il fosforo.
Era, perciò, una forma di vita aliena.
L’evento cominciò a dare una prima timida risposta a domande che i biologi si ponevano da sempre.
Valere a dire se la vita avesse avuto un’unica origine oppure fosse avvenuta più volte.
E anche se fosse possibile che sulla biosfera terrestre potessero coabitare più forme di vita.
Erano domande che facevano parte di uno dei più grandi problemi irrisolti della scienza riguardanti il dove, come e quando si sono verificate le condizioni che hanno originato la vita e, anche, il dove, come e quando, avendone avuta la possibilità, la vita è emersa.
Prima della scoperta del batterio, che sembrava si nutrisse di arsenico, c’era la convinzione o, meglio, la speranza che la vita fosse emersa, con estrema facilità, ogni volta che si fossero verificate, sui pianeti orbitanti intorno alle stelle, le stesse condizioni terrestri.
Era la premessa del determinismo biologico, avvalorata dalla constatazione che tutte le specie conosciute appartenevano allo stesso albero della vita e avevano un’origine comune.
La nuova scoperta, invece, costituiva una prima probabile prova della sussistenza sulla Terra di una biosfera-ombra.
Successive analisi, più specifiche, dimostrarono però che quel batterio non poteva ancora definirsi alieno.
Aveva, tuttavia, acceso una scintilla di ricerca approfondita.
Si modificarono, perciò, i metodi di definizione, di sequenziamento del genoma e di posizionamento nell’albero della vita dei microbi.
Si modificarono le tecniche di studio attuate per le forme di vita conosciute.
Si cercò la biosfera-ombra in ambienti separati, in nicchie impossibili alla vita tradizionale.
Si cercò anche nella stessa biosfera ordinaria, per verificare forme strane nascoste.
Dalla frenetica attività, risultò che, almeno a livello unicellulare e batteriologico, la vita sulla Terra si era formata in più occasioni e in forme diverse.
Di conseguenza, c’erano concrete possibilità che le stesse forme di vita, diverse dalle strutture conosciute, potessero essersi sviluppate in altri ambienti extraterrestri ed essere molto diffuse nell’universo.
In ulteriore conseguenza, c’erano concrete possibilità che, in un posto nell’universo, ci fosse vita intelligente.
Occorreva soltanto cercarla.
L’universo, perciò, appariva governato da leggi di una specifica evoluzione che hanno visto, successivamente alla sua nascita dalla “singolarità”, la comparsa di galassie, stelle, pianeti, atomi e molecole, vita e intelligenza.
Poiché, una sia pur piccola mutazione delle costanti di quegli eventi non avrebbe potuto consentire la successione degli eventi.

Erano passati poco meno di tre secoli dalla vicenda del batterio considerato alieno che aveva dato la scintilla iniziale al Progetto.
Ora era il settembre del 2299.
Salvatore e il suo pupillo Danilo erano gli ospiti d’onore sull’Isola per la annuale conferenza sullo stato dei lavori.
Danilo nella sua relazione alle diverse centinaia di tecnici e scienziati presenti aveva dichiarato:
«L’uomo, per questa ragione, è come partecipe di un’enorme competizione cosmica.
Essa richiede spazi e tempi necessari per rimanerci.
Egli è assegnatario di una specie di missione, consistente nella sopravvivenza, nel prosperare, nell’evolversi a livelli sempre superiori, nell’espandersi nell’universo infinito.»
Queste stesse considerazioni, all’inizio del terzo millennio, avevano avuto conseguenze politiche e sociali d’enorme portata.
Già dalla metà del ventunesimo secolo, era iniziata una specie di piccola colonizzazione del sistema solare.
Per primo, furono assemblate speciali isole artificiali orbitanti intorno al Sole, dotate di habitat terrestre, con la stessa forza di gravità, capaci di ospitare decine d’aspiranti coloni degli altri pianeti e satelliti del Sistema solare.
Nei decenni successivi, queste isole divennero sempre più grandi, con capacità di centinaia e, alcune, di migliaia d’individui.
Infine si passò alla vera colonizzazione della Luna, di Marte, di Europa.
Ciò nondimeno gli uomini erano sempre gli stessi.
Avevano represso la caratteristica di egoismo e sopraffazione insita nei loro geni.
Avevano eliminato la degenerazione delle proprie cellule, rimanendo giovani e vitali per lungo tempo. 
Avevano accresciuto la cultura e l’intelligenza di ogni singolo individuo.
Strutturalmente, però, erano ancora i diretti discendenti immutati di “homo sapiens sapiens”, apparso sulla Terra duecentomila anni prima, con la loro mente, con la loro struttura fisica, con le loro esigenze per esercitare le funzioni vitali.
Perciò, occorse trasformare e adattare le superfici e le atmosfere locali delle colonie.
Erano, ancora, tappe intermedie per permettere all’uomo di fuggire definitivamente dalla prigione della gravitazione della Terra e consentirgli di colonizzare l’intera Via Lattea.
Occorrevano nuove strategie.
Danilo, da molti anni, era impegnato nella soluzione delle relative problematiche, e sognava di inoltrarsi tra i pianeti della Galassia, e depositarvi i frutti dell’albero della vita.
Egli così scriveva e parlava:
«Alla base dell’impresa di colonizzare la Galassia da parte degli uomini ci sono alcuni concetti da tener presenti.
Le origini delle numerose civiltà dell’uomo, sulla Terra, sono tutte nate in maniera circoscritta.
Molte si sono fermate.
Altre si sono espanse, e, sfidando anche l’ignoto, hanno occupato e colonizzato la restante parte.
Ciascuna civiltà ha, quindi, di fronte un giorno del giudizio che determina se essa ha le caratteristiche di una grande civiltà oppure di una piccola civiltà destinata a morire.
Facendo un ragionamento di tipo statistico, le probabilità che una civiltà diventi una grande civiltà sono un numero piccolo, ma pur sempre diverso da zero.
Dobbiamo riconoscere che le variabili in gioco sono tante, dove anche la fortuna gioca la sua parte.
C’è da dire, in ogni modo, che le civiltà che dedicano una parte sostanziale delle proprie risorse alla colonizzazione, e che iniziano molto presto tale processo, senza interromperlo, hanno maggiori probabilità di diventare grandi.
Nel momento in cui la colonizzazione è ben avviata, e il numero delle colonie cresce più di quelle che cessano, si può dichiarare vittoria: quella civiltà è destinata ad essere una grande civiltà.
A livello cosmologico la situazione non cambia.
Se mai l’uomo dovesse raggiungere ciò, nel varcare le soglie del Sistema solare e inoltrarsi nella colonizzazione della Galassia, stabilirebbe la svolta definitiva della sua lunga storia.»
«Il nostro Maestro Salvatore ci ha indicato quali sono i dettami della storia, derivati dalle caratteristiche dell’uomo.
La nuova frontiera non è che il completamento di un disegno predisposto geneticamente che dà un senso alla sua esistenza!»
«Ci sono, tuttavia, alcune domande le cui risposte paventano scenari inquietanti.
Come mai la nostra Galassia non è stata ancora colonizzata?
Perché con stelle più vecchie del Sole di miliardi di anni, nessuno ha provveduto, ancora, a colonizzare la Galassia, giacché il processo richiede molto meno di un miliardo di anni?
Dove sono tutti quanti?
Per ripetere la domanda posta da Enrico Fermi nel 1950 durante un pranzo a Los Alamos quando saltò fuori l’argomento degli extraterrestri.
E se gli uomini fossero l’unica civiltà intelligente, non solo della Galassia, ma dell’intero universo osservabile?»
«Nell’universo in cui siamo confinati, formatosi successivamente alla “singolarità”, la distanza da essa segna il nostro orizzonte cosmico e un limite alla colonizzazione spaziale.
Può essere che un’altra intelligenza risieda solamente oltre quest’orizzonte cosmico?
Può essere che un’altra intelligenza risieda in un altro degli infiniti universi del multiverso?
Una risposta positiva a queste domande porrebbe l’uomo, proveniente da una sottile pellicola d’atmosfera, sopra un piccolo pianeta, ruotante attorno ad una giovane stella insignificante, ai margini del suo ammasso, ad essere titolare di una proprietà immobiliare costituita dall’intera Via Lattea: una galassia del diametro di circa cento miliardi di anni luce, con circa duecento miliardi di stelle, con almeno dieci milioni di pianeti abitabili, sui quali potrebbero vivere, agevolmente, almeno quattro miliardi di miliardi d’individui.
Per non considerare, poi, che i numeri aumenterebbe in maniera esponenziale oltrepassando i confini della propria galassia.
Questa è la differenza tra una civiltà che balena in una timida esistenza, e una civiltà prepotente, irresistibile, massiccia che dilaga in tutto l’universo osservabile, trasformandolo e dominandolo.»
«Sembra proprio che la posta in gioco sia di una portata universale!»
«Sembra proprio, è stato dimostrato, che è giunta l’ora che l’uomo attui la missione per la quale la storia, da lui stesso derivata, l’ha preparato! Perciò è assolutamente necessario iniziare a spandere il seme tra le stelle.»
«Ma come fare? Quali strade bisogna percorrere perché ciò avvenga?»
«La strada che dovremo seguire non è quella di adattare gli ambienti all’uomo, bensì quella di adattare gli uomini all’ambiente.
In ogni nuovo posto, ci saranno sempre gli stessi problemi: risorse iniziali sempre più circoscritte, in sempre più limitati rapporti con il mondo di origine della specie umana.
Così, com’è successo per la sopravvivenza nelle difficilissime condizioni iniziali sulla Terra, è ragionevole porre una grande fiducia sulla capacità dell’umanità di adattarsi, e sopravvivere al di fuori delle condizioni già verificatesi per la sua evoluzione.
Esseri umani, geneticamente modificati, potranno continuare a vivere in orbite attorno ad una stella o su pianeti inospitali, già prima dell’avvento dei viaggi generazionali, o dei percorsi più veloci della luce, verso sistemi stellari remoti.»
«La storia, dettata dall’uomo, ha già fissato il tempo dell’azione.
Egli, a breve, sfuggirà al pozzo gravitazionale non solo del pianeta, bensì della stella, per far salpare definitivamente la nave dell’umanità verso la conquista dell’universo.»

Il seme tra le stelle settembre 2299 è un racconto di Giudo Fariello

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