Louisiana

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FRANCO BELLANDI

 

LOUISIANA

 


Il brigantino “Calienda” comandato dal capitano Joao Pereira Garcia era in vista della costa americana. Il vento era favorevole e nel giro di quindici, diciotto ore, sarebbe entrato nel porto di Gretna nel delta del Mississippi vicino a New Orleans, dove solitamente le navi negriere scaricavano il loro trasporto di schiavi provenienti dall’Africa. In quel piccolo porto il carico era preso in consegna dai commissionari che in seguito vendevano al mercato di West Wago la loro mercanzia umana: schiavi costretti a lavorare  nelle piantagioni dei ricchi proprietari terrieri della Louisiana.
Sul “Calienda” gli schiavi incatenati alle caviglie tra loro a dieci alla volta furono fatti salire in coperta; avrebbero subito il lavaggio con l’acqua di mare prelevata con le pompe a mano di bordo, e dopo il lavaggio il loro corpo sarebbe stato unto con dell’olio per renderli più appetibili agli occhi dei commissionari che avrebbero potuto rifiutare la merce non gradita, o non ritenuta di qualità accettabile.
Il “Calienda” portava un carico di centottanta schiavi, quasi tutti giovani o giovanissimi, quaranta dei quali erano femmine. Mentre in coperta gli schiavi erano lavati e unti, altri membri dell’equipaggio provvedevano a pulire le stive dove, ammassati come bestie, avevano viaggiato quei poveracci.
Il puzzo in quegli ambienti era insopportabile e il lavaggio avveniva, una volta aperte le sentine, con acqua di mare miscelata a soda caustica. Era un lavoro poco gradito dai membri dell’equipaggio e a quelli che toccava farlo lo facevano coprendosi il naso e la bocca con dei fazzolettini e lavorando faticosamente di “frettazzo” per poter togliere le incrostazioni di residui di vomito e di escrementi dal fasciame della pavimentazione.
Gli schiavi viaggiavano in stive separate tra maschi e femmine e poiché provenivano, in prevalenza, da zone diverse dell’Africa, accadeva che, pur incatenati vicini, parlando linguaggi diversi, incomprensibili fra loro, poco potevano comunicare finendo per accettare la loro grama sorte in un mutismo rassegnato rendendo ancora più angoscioso quel triste viaggio. La maggior parte era inconsapevole di quello che li attendeva; avevano perso la loro libertà, catturati senza nessun motivo apparente, per loro comprensibile, e sradicati dai loro villaggi erano poi stati caricati su quella grande barca.
In coperta sul “Calienda” gli schiavi denudati dei pochi stracci che vestivano venivano irrorati violentemente dal getto d’acqua di mare che le pompe sparavano loro addosso. Finito il lavaggio, con delle spugne o semplicemente a mani nude, erano unti da membri dell’equipaggio addetti a quella mansione; accadeva che nell’espletare questo lavoro, specie con le femmine, approfittavano per palpare le parti intime delle stesse con evidente libidine e non era raro che anche qualche maschio subisse le stesse attenzioni sentendosi palpare il membro con particolare insistenza da un untore dai gusti sessuali particolari.
Il capitano del brigantino, Joao Pereira Garcia, era severamente intransigente con il suo equipaggio: nessun membro dello stesso, durante il viaggio, poteva approfittare della situazione per costringere a rapporti sessuali gli schiavi. Le donne in special modo, quasi tutte giovanissime e vergini, erano considerate merce pregiata da non rovinare assolutamente. Era già accaduto in passato che qualche membro dell’equipaggio avesse ignorato questa ferrea disposizione e per conseguenza fosse finito in mare, in pieno Atlantico, abbandonato al suo destino con grande gioia dei pescicani.
Durante tutte le traversate, a causa delle pessime condizioni nelle quali viaggiava la “merce” trasportata, vi erano delle perdite del carico, in particolare a causa di febbri infettive o dissenterie con tremende diarree. Anche in quel viaggio erano stati persi otto schiavi: sei donne e due uomini, gettati a mare ancora vivi una volta che si era ritenuti inguaribili, soprattutto per evitare un contagio con il resto del carico.
Zwaby la giovane negra del villaggio di Ogwina tribù degli Swalin guardò all’orizzonte quella striscia nera che lentamente si avvicinava e intuì che il viaggio stava per finire e forse sarebbero finite anche le sofferenze che aveva dovuto sopportare e subire.
Grazie alla sua vicina, compagna di catene, aveva capito come fare per ottenere un supplemento della scarsa quantità di cibo che solo una volta al giorno veniva loro concesso, somministrato da quattro membri dell’equipaggio che versavano in ciotole di legno un impasto verdastro che aveva un disgustoso sapore acido, ma data la fame veniva divorato con avidità dalle schiave in catene.
Zwaby una volta vide la sua vicina compagna di catene che dopo aver finito avidamente il cibo nella ciotola, tendendola, vuota, verso uno degli uomini dell’equipaggio tirò fuori la lingua e fece il gesto di leccare, e infilandosi un dito in bocca cominciò a succhiarselo. Quell’atteggiamento della compagna le sembrò strano, incomprensibile, ma non tardò a capirne il significato. Uno dei marinai si avvicinò alla schiava e, aprendosi le brache, tirò fuori il suo pene che la schiava prese a leccare, e infilandoselo completamente in bocca lo succhiò. Zwaby vide come il membro dell’uomo s’ingrossava e s'irrigidiva fino ad esplodere un liquido bianco, vischioso, che debordò dalla bocca della schiava. L’uomo le riempì di nuovo la ciotola di cibo, che la donna divorò rapidamente.
Da quel giorno anche la giovane schiava usò lo stesso sistema al fine di procurarsi un supplemento di cibo e questo la mise in condizioni di meglio resistere alla crudele situazione nella quale si trovava.
In seguito successe che Zwaby dovesse soddisfare le esigenze, in quel modo, di più di un marinaio contemporaneamente, allora, oltre la bocca imparò ad usare anche le mani. S'inginocchiava e riceveva il pene di uno in bocca mentre con le due mani masturbava gli altri due e a fine operazione si trovava il corpo impiastricciato dallo sperma che gli uomini le avevano schizzato addosso, ma in compenso poteva riempire lo stomaco e calmare i morsi della fame.
I marinai sapevano di non poter andare oltre; un atto sessuale a una schiava penetrandola poteva significare per loro il rischio di essere sorpresi e quindi gettati a mare in pieno oceano, abbandonati al loro destino. Il capitano Joao Pereira in questo era inflessibile; tollerava e comprendeva gli sfoghi sessuali che l’equipaggio si procurava con le schiave purché lasciassero loro intatte le vagine e il sedere, compreso quello dei maschi.

Louisiana è un romanzo di Franco Bellandi

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