Questo infinito amore

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LUCA TOSCHI

QUESTO INFINITO AMORE



 Il Bianco Vascello

Ascolta. 
Ti narrerò di un bianco vascello e del suo equipaggio, di un mare sconfinato e di un’isola lontana, dove forse un giorno anche tu arriverai. Se così sarà, saprai che le mie parole erano vere ed al termine del tuo viaggio io sarò lì, ad aspettarti. 
Quando arriva il momento, ricorda, la nave ti chiama. Nell' esatto istante in cui la sua rotta incrocia la tua stella lei viene a te, e ti chiama. Tu puoi ignorare il suo invito, fingere di non averlo udito, ma lei entra nel silenzio della tua notte e attende una risposta. Alto è il prezzo della traversata, tutto ciò che possiedi essa ti chiede. In cambio, la libertà. 
Puoi salire a bordo e decidere di salpare verso l’ignoto o rifiutare e lasciare che la sua bianca vela scompaia dal tuo orizzonte. Per paura, o nella vana speranza di un suo ritorno, puoi lasciarla partire senza di te. Se questo sarà, la rimpiangerai ogni giorno della tua vita e nel luogo più segreto della tua anima spererai che ancora venga. Perché è là, oltre l’orizzonte, che devi andare. 
Sulla prua qualcuno ti attende. Dice “Vieni”. Da molto tempo aspetta paziente, ma tu avevi troppa paura. Non ricordi nemmeno più da quanto ti sei messo in cammino, non ricordi il giorno in cui iniziò il tuo viaggio, ma ricordi gli anni che seguirono. E furono anni di solitudine. 
Eppure, era lì, appena oltre la soglia del tuo sguardo cieco. Era lì e ti aspettava, senza che tu mai riuscissi ad accorgertene, senza che mai riuscissi a riconoscere il suo volto. E così continuavi a cercare e ad attendere, e così continuavi a perderti. 
“Vieni” dice, e mentre la sua sola voce dilata il tempo e lo spazio sino a far perdere loro ogni significato, tu alzi con timore il capo e inizi a muoverti per andarle incontro. Accorgendoti di non avere più paura. 
Ascolta. Un’onda si infrange su di una spiaggia di ciottoli, e poi un’altra, e un’altra ancora. Un’onda dopo l’altra, increspature di un mare infinito che si levano, corrono, giocano con il vento e con la terra, e poi si spengono nel margine incerto di un bianco ricamo. 
La terra le sostiene e le rinforza, il vento le accarezza e le muove. Il vento che culla i sogni dei poeti e dei marinai, il vento che parla tra gli alberi e nei campi di grano, il vento che ci porta profumi lontani e parole perdute, che sostiene voli di uccelli e aquiloni bambini, il vento che diviene tempesta, che gonfia le nubi, che strappa che graffia che grida, che ti piega le gambe e la testa, ti sfida, ti spinge, e mai non si arresta. 
Da cieli lontani, da mondi diversi, dal Sole e dallo spazio infinito, viene il vento che ti afferra e se le tue ali non sono forti abbastanza non potrai volare, ma solo cadere. Tu le possiedi senza saperlo, apri le ali, lasciati andare, e vedrai che il volo ti condurrà lontano, oltre l’orizzonte ormai buio, oltre la notte, verso quel giorno che mai avresti creduto di poter vedere. 
Spalanca gli occhi alla meraviglia, perché l’Universo è in attesa di poterti svelare il proprio incanto, per aprire le porte dei mondi che lo compongono, per accogliere il tuo dono e ricambiarlo mille e mille volte. La Bellezza è il tuo destino, e ti attende paziente nelle innumerevoli cose sulle quali tu poserai il tuo sguardo, purché esso sia sguardo di amore. 
Non ascoltare chi ti dirà come le cose devono essere, e perché. Sei tu a dare forma e vita a tutte le cose, e senza di te nulla può esistere. Solo la paura può rinchiudere i tuoi orizzonti, e molti saranno a voler dare forma e sostanza ad essa per tenerti prigioniero, per farti schiavo. Tu, fra questi. Ma la paura è solamente un velo sottile se tu non le dai forza, è solamente un’ombra fatta di niente, che svanisce non appena la più fioca delle luci la penetra e la dissolve. 
Ascolta. La prima cosa è un suono, un mormorio, un sussurro. 

Il Sognatore

In una antica città di mare, su di un molo perduto all'orizzonte, una figura avvolta nella nebbia attende. È un sognatore e come tale non ha età. Seduto su di una panchina di pietra, lo sguardo intento a scrutare il nulla, l’orecchio teso a cogliere suoni che forse solo lui è in grado di sentire, aspetta. Cosa lo ha condotto sino a lì? Un sogno, una visione, il caso, il destino, la vita? 
La notte è scesa e solo un lampione resiste con la sua fioca luce alle tenebre che hanno ormai dissolto ogni forma in quella liquida nebbia che sfuma ogni cosa con le sue umide dita. È sparita la terra ed è sparito il cielo, mentre del mare invisibile rimane solo il rumore delle onde che da, qualche parte, continuano a frangersi con un ritmico bisbiglio che pare un invito. 
Solo la panchina illuminata dal lampione resiste, e sulla panchina un uomo. Accanto a lui un quaderno consumato da parole fitte e minute, scritte rapidamente e in parte ormai sbiadite. È tutto ciò che possiede. Una brezza improvvisa, quasi un sospiro ne accarezza le pagine e le sfoglia, leggendole alla fioca luce del lampione che le illumina, impedendo loro di svanire nel nulla. 

* * * 

Qui ed Altrove scorrono rapidi fiumi;
un gabbiano si è smarrito nel vento.
Il mare, lontano, attende e sogna.

Qui è il mio respiro, qui il mio sguardo percorre sentieri conosciuti, si sofferma su certezze mai dubitate, che tutto sia come appare nello scorrere ineluttabile di un tempo sempre uguale, un procedere di tutte le cose, ora lento e leggero, ora tumultuoso ed urlato, verso l’inevitabile.

Qui ed Altrove il ronzio dei fiori
nel sole dilata l’aria, intessuta
dei voli e dei respiri della Vita.

Qui, sopra queste strade e queste case, splendono gli Astri, le stagioni scorrono ed il vento che passa raccoglie infinite storie, sogni, speranze, attese. 

Qui ed Altrove io cerco, percorro le Vie
tracciate da stelle cadenti
sopra orizzonti mutevoli. Luci ed Ombre.

Guardo fuori dalla finestra e mi accorgo che sta nevicando. Da tempo non la vedevo cadere così fitta. È bellissima, fin da bambino ho sempre adorato guardare la neve mentre cade. Mi ha sempre dato tanta pace. È un momento perfetto per scrivere, qui al caldo nella mia stanza, ed io inizio a farlo perché non voglio smarrire i miei sogni e per non perdermi in essi. Perché io ho sognato, e ancora sogno, e i miei sono stati sogni grandi e bellissimi a volte, a volte colmi di orrore e disperazione. 
La mia vita è stata questo, un inseguire tracce di sogni in quel sogno più grande che chiamiamo realtà. Quando è iniziato tutto? Non so dirlo, forse non vi è inizio, forse sognavo ancora prima di nascere al mondo. Ricordo mia madre che mi leggeva le fiabe, ricordo quei grandi e magnifici libri illustrati, porte spalancate su mondi di incanti e magia e terrore che mi affascinavano, conducendomi su strade di sogno. 
Ed io poi li seguivo quei sogni, dovunque mi conducevano ed oltre. Perché quella era la mia casa, di questo ero convinto, di questo sono ancora convinto. Li seguivo nelle mie notti, quando libero da ogni vincolo potevo librarmi in volo leggero come farfalla e li seguivo nei miei giorni, cercandone ovunque le tracce di meraviglia. Se spingo il mio sguardo al fondo della nebbia vorticante riesco a vedere le torri svettanti di un castello incantato, posto al centro di un Paese che nessuna carta geografica riporta. Attorno ad esso foreste intessute di magia, e fiumi d’argento e laghi di smeraldo, e poi pianure verdi sulle quali corrono liberi cavalli selvaggi, sino a raggiungere il mare che tutto circonda. 
Molti sono i nomi di quest’isola, perché di un’isola si tratta, circondata dal vasto oceano dell’Universo che tutto racchiude e lega. Infanzia, Paese delle Fate, Giardino delle Esperidi e molti altri nomi ancora, ma nessuno di questi è in grado per intero di racchiuderne l’essenza perché questa è Luce e Ombra, e gelosamente custodisce i segreti del Tempo. Creature strane la popolano, creature antiche e potenti, a volte gentili e amichevoli, a volte terribili e spaventose. Tutte, affamate. Affamate di amore le une, e di bellezza, affamate di dolore e morte e distruzione le altre, in lotta perenne e in mutevole equilibrio. 
Su quest’Isola, talmente vasta che a volte pare non avere confini, ho trascorso interi sogni vivendo della vita dei suoi abitanti, condividendone desideri e terrori, trovando incanti che al mattino svanivano e paure capaci di allungare nel nuovo giorno la propria fredda ombra. Eppure, mi dicevo, arrestando i miei passi nella chiara luce del Sole a riposare un istante, eppure. 
Eppure, sono davvero soltanto sogni quelli che con tanta forza mi rapiscono? E cosa sono allora quelle ombre furtive che ai margini rapide appaiono per poi subito svanire? Da dove viene quella musica lontana, così chiaramente udita per un solo istante tra i rumori del traffico e della folla? E di chi erano quegli occhi incrociati per caso ma non dimenticati? Quegli occhi che in quell’istante pareva ti volessero parlare? Non poteva essere tutto e solo fantasia. Quei luoghi e quelle creature dovevano esistere, dovevano. Per forza. Per me. Ed io li avrei trovati, ed essi mi avrebbero accolto come uno di loro. 
Così ho iniziato a cercare le tracce dei miei sogni, a cercare i confini del Reale per scoprire che confini non ne ha. Esistono porte dalle quali possiamo passare, innumerevoli, e finestre dalle quali possiamo guardare. Esistono ponti di arcobaleno e abissi profondi nei quali è possibile perdersi. Nulla mi spaventava, perché sapevo che là, oltre quelle porte e quei ponti ed al fondo degli sconosciuti abissi qualcosa, qualcuno mi stava aspettando. 

* * * 

Nelle incerte stanze della memoria si rincorrono gli echi di una melodia
sconosciuta, note sottili come fili di una ragnatela lucente
sospesa tra le cime dei ricordi, unione impalpabile e fortissima
tra ciò che è stato e ciò che sarà.

La notte è trascorsa, ogni silenzio si è saturato dei rumori del giorno,
e la luce intensa di un cielo ancora azzurro si riversa
dalla finestra della mia stanza, sfumando le ombre ed i sogni
per riproporre i suoi spessori. E le sue necessità.

Ma i miei pensieri volano altrove cercando una forma con cui rivestirsi,
per poter poi lasciare la propria impronta su questa carta.

Sospesi come bolle di sapone vorticano i miei ricordi ed esplodono
in frammenti sonori.
Poi il silenzio, ritmato dal pulsare del cuore, mi invade e si allarga
nella stanza in lisce superfici, sulle quali scivolo e mi smarrisco.

Finché, nel silenzio, la musica torna a sgorgare.

* * * 

È notte. In questo silenzio vellutato, sotto una luna piena di speranza, come i petali di un fiore appassito i miei pensieri corrono sulle ali del vento. E il vento turbina, travolge, distrugge le barriere del tempo, apre le porte all’abisso e dentro di esso ci spinge. E d’improvviso, liberi da ogni catena, ci accorgiamo di possedere nuovi occhi che vedono dove prima era buio, nuovi orecchi che odono dove prima era il silenzio, fiutando nuovi odori, provando nuove sensazioni che ci costringono ad avanzare verso l’ignoto. 
Riposa la mente e con essa le membra, facili prede del sonno, e finalmente l’ignoto può prendere forma. Si muove, ed abbandona quella materia che così a lungo lo ha tenuto prigioniero e messo a tacere. Intorno le tenebre prendono forma. Il passato è presente, il presente è tutto racchiuso in un’unica bolla di vetro ed il futuro è un lontano miraggio, un’alta montagna in fondo ad un campo di fiori sospeso tra le nubi. 
E tutto questo è Sogno. 
Nella luce di un Sole ignoto ho incontrato il corso di un ruscello dalle acque spumeggianti e, seguendolo, ho costeggiato lievi pendii soleggiati per addentrandomi poi in boschi folti di alberi, di richiami e di sussurri di fronde. Una piccola farfalla azzurra, apparsa all’improvviso, si è messa a girarmi attorno come per un muto invito, e poi decisa si è inoltrata nel bosco guidandomi avanti mentre io la seguivo. 
Intessuta nel mormorio delle acque e nel canto degli uccelli, all’inizio quasi indistinguibile da questi, una dolce melodia si spandeva nell’aria catturando a poco a poco i miei sensi. Dovevo scoprirne la fonte, trovare chi stava suonando e così ho ripreso il cammino. Veloce il mio passo e sicuro, mentre avanzavo guidato da quelle note fatate che mi facevano scordare ogni cosa affinché io potessi seguire la musica e quella soltanto. La musica mi chiamava e ricordo di aver lasciato il ruscello per addentrarmi nel bosco incontro a quelle note di cristallo. 
Poi, d’improvviso tra gli alberi mi è apparsa una radura cosparsa di fiori che splendevano al sole ed è allora che ai piedi di una quercia maestosa l’ho vista, seduta intenta a suonare, poco più che bambina, biondi capelli di grano maturo ed azzurra la veste come un cielo d’estate. Tra le mani reggeva un flauto d’argento lucente dal quale continuavano a sgorgare melodie senza nome che sapevano parlare. Immobile, trattenendo anche il fiato, per paura di spezzare l’incanto, l’ho guardata ascoltandola suonare. 
Infine, mentre la musica si spegneva perdendosi in echi lontani, la ragazza bambina ha deposto il suo flauto alzando poi la testa verso di me, come da tempo sapesse che la stavo ammirando. Si è alzata decisa venendomi incontro e giunta vicina mi ha detto “Ti stavo aspettando”. Nei suoi occhi di zaffiro lucente mi sono perso, potevo solo guardarli sapendo che per quegli occhi innocenti sarebbe stato possibile e giusto persino morire. Lei ha sorriso e si è chinata a cogliere un fiore per porgermelo poi, dicendo “Tieni, non farlo appassire”. Io mi sono avvicinato per prenderlo, mentre il sogno svaniva. 

* * * 

Racconta una antica fiaba coreana di un bellissimo fiore azzurro, in grado di fiorire solamente in presenza della vera bontà e capace poi di donare il sorriso a chi l’avesse perduto. Esistono fiori di tale natura, ognuno con la propria particolare virtù. Il Sognatore non sapeva perché quel fiore gli fosse stato donato quando era ancora ragazzo, ma lo aveva preso allora e custodito con cura nel profondo del proprio cuore per accorgersi poi, nei giorni che seguirono, che qualcosa in lui era cambiato, profondamente. 
Dapprima in maniera inconsapevole e poi con sempre maggiore evidenza si rendeva ora conto, meravigliandosene, che camminando riusciva a vedere colori che mai prima aveva notato, che ora riusciva ad udire melodie sottili che mai prima aveva ascoltato e a cogliere l’incredibile bellezza e l’incanto di minuscoli frammenti di vita ai quali, prima, mai avrebbe prestato attenzione. 
In quale Paese lontano nasceva l’arcobaleno, quando di rado lo si vedeva splendere in cielo? E dove andava a finire la sua curva rincorsa? Gli antichi pensavano potesse trattarsi di un ponte e forse era vero, forse un mondo diverso attendeva al fondo di quell’arco di luce e colori. 
Era così grande il Mondo, si rese conto allora. C’erano luoghi dimenticati, dei quali nessuno ormai conosceva più l’esistenza, che attendevano viaggiatori audaci e c’erano storie che più nessuno narrava e più nessuno ascoltava, che attendevano poeti per poter essere ancora raccontate. Persino i volti delle persone che gli erano attorno, persino quelli ora parevano diversi, lasciando trasparire ognuno, come limpida sorgente, i propri più profondi segreti.


Questo infinito amore è un racconto di Luca Toschi

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