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SOTER JANUS
CUORE DI LUCIFERO
“Salve, o madre degli dèi, dai molti nomi, dalla bella
prole;
Salve, o Ecate, custode delle porte, di gran potenza; ma
anche a te
Salve, o Giano, progenitore, Zeus imperituro; salve Zeus
supremo.
Rendete luminoso il cammino della mia vita,
Colmo di beni, stornate i funesti morbi
Dalle mie membra, e l’anima, che sulla terra delira,
Traete in alto, purificata dalle iniziazioni che
risvegliano la mente.
Vi supplico, tendetemi la mano, le divine vie
Mostratemi, ché le desidero; la luce preziosissima io
voglio mirare,
Onde m’è dato fuggire la turpitudine della fosca
generazione.
Vi supplico, porgetemi la mano, e coi vostri soffi
Me travagliato sospingete nel porto della pietà.
Salve, o madre degli dèi, dai molti nomi, dalla bella
prole;
Salve, o Ecate, custode delle porte, di gran potenza; ma
anche a te
Salve, o Giano, progenitore, Zeus imperituro; salve Zeus
supremo”.
Sogno nel Sogno … Cuore
nel Cuore
SEMPRE… Napoli!
Diversa
e sempre la stessa!
Antica e
moderna. Magica o fin troppo normale?
Arcipelago
di quartieri, mesti dormitorî e bolge di traffico.
Ombre e luci:
fiochi lumini di vecchi rioni scompaiono
fra i led della città nuova, lampioni
anonimi dalle nebbie di periferia corrono in centro a farsi un nome o qualche
colore.
Tremolanti
riflessi a miriadi sul mare accecati dalle vuote luci d’una città stanca, che però
non vuol dormire… Frenetiche le strade e piazze sempre accese.
Stasera,
più colorata è piazza Vanvitelli.
Allestiscono
un palco… «Un concerto?».
Ma sì,
musica!
Serata
speciale per qualcuno; il solito spasso… la stessa noia, per altri.
Ma cos’è
Napoli?
«CHI è?».
Quella
dei Napolitani che trovi solo a
Napoli o una città del mondo, che sta dappertutto?
E Vanvitelli: piazza qualsiasi d’un posto
qualunque?
Già! Dove i giorni son tutto e niente; ogni notte… nuove
avventure o solite storie. «Perché no?».
Oggi
come ieri: sempre gli stessi, ma tutti moderni; sere come tante di ragazzi tra
tanti. Forse, l’ennesimo teatro nel teatro… «Ma Vanvitelli è LA piazza! E - piaccia o no - tutta Napoli è in ogni posto
della città, ogni luogo è Napoli
intera!».
Sabato
sera: tanta gente in giro. Eccoli là: baldi e ribaldi giovani sfidanti la notte.
Tutti nuovi… rinati ogni fine-settimana.
Al
solito bar, in caffetteria, sul muretto. Tutti pronti per andare, uscire… partire!
Le
scelte - che fare? - diverse o uguali; chi sceglie e chi no, poco importa.
Conta
star insieme, sentire d’esserci per tutti e desiderare appartarsi con qualcuno.
Evadere dalla vita o la vita cercare… Mendicare in notti giovani un senso a vecchi giorni.
«È
sabato sera!», una mèta: “botta di vita” dopo una settimana tirata a campare, a lavorare e… chiedere il permesso.
La città
delle luci diventa una grande culla vuota; buona per tutti, però, non si
riempie mai abbastanza. Fuori dai ghetti! Per osare e usare ogni giovinezza: dai
veleni venduti al prezzo d’una vita, alle vite svendute nel “paese dei balocchi”.
Sabato
sera: i proletari si fanno borghesi e i borghesi… si fanno tra loro.
Una
volta, un paese era città e tutto il
mondo era paese. Adesso c’è tanta periferia e dove tutti si conoscevano, ora si
diffida di chiunque.
Allora?
Si scappa in centro!
Nelle metropoli
ci si spende dappertutto: anime solitarie a strofinarsi per strada o intere famiglie
ingoiate da centri commerciali pieni di tutto e di più.
Qualcuno
s’immerge tra la folla per diventar nessuno e riti di massa vomitano individui
anonimi per distinguersi.
Cinema,
teatro… qualche volta, o per qualcuno. Ma uscire la sera a Napoli, è per lo più
cenare fuori. In fondo, una volta si mangiava bene e la nomea rimane.
Pub e pizzerie… tante. E poi disco, bische e cornetterie; angoli di strada o bei posti tra mare
e cielo, dove basta esserci per far “ambiente”. Almeno… i giovani.
Eccoli
là!
Stavolta
il gruppo è piccolo, ma simpatico come sempre… No, oggi forse un tantino di
più: il “tipo” che fino a ieri nemmeno la guardava, ora invece sorride alla ragazzina
che emerge tra le solite amiche… Chissà che non sarebbe stata la loro sera, la
sua “prima volta”!
Prima e
ultima, per la virtù che un amore
immaturo o troppo grande non aveva ancora colto.
Al solito,
pian piano le coppiette s’appartano; pure il “capobranco”…
Un paio
di ragazzi restano a bere tra machi… o
sfigati.
L’amicone
di turno, invece, è intento a cogliere quel fiore ancora acerbo.
La
fanciulla si lascia trascinare dal ragazzo che, ormai, ha scovato in lei uno
spazio troppo vuoto: è lontano il “cavaliere del suo cuore” - primo amore d’una
ragazzina troppo piccola, delusa da chi non la condusse libera e felice sul suo
cavallo bianco… - Troppo lontano.
Vicino -
anzi incollato - mo ci sta quest’altro:
pronto a riempire… o a svuotare.
«Fosse lui
quello speciale?».
Boh! Intanto, stasera ci sarebbe stata, anziché ripescarsi nel gruppo.
Eppure… Chissà
se, a suo tempo… quel semplice, dannato passo l’una per l’altro… che non
avevano fatto.
Ma che
importa, ormai: storielle da ragazzine! Adesso sta per diventare grande… Pure più
di quanto crede.
Che le
resta del suo remoto “principe azzurro”? Un anellino… Pegno d’una promessa? Dovunque
fosse, magari neanche la ricorda; figurati quanto gli importa cosa faccia o con
chi…
E lei? Che
deve saperne di vie e forze che tiravano via quell’uomo o spingono ‘sto maschietto fuori o dentro il vuoto d’un
cuore ancora puro?
La
ragazzina ama la sua virtù e perfino i suoi ricordi, ama se stessa e la vita; ama
anche l’amore… E vuol diventare donna! Già:
“Donna”!
Fin troppo
sola è stata e ha pianto troppe lacrime attendendo un sogno che ormai sbiadisce
insieme alla sua prima giovinezza: “cavaliere” irreale, né presente… neanche divertente.
Quest’altro,
invece, ora si apparta con lei e le fa tanti bei complimenti: un ragazzo vero che
sembra non aver altro pensiero, che vuole solo sfoggiarla al suo fianco… averla.
«Ragazzo?
È un uomo! Un “vero uomo”».
E che
dire della vita, della vita “vera”? Poteva mai essere l’ingenua speranza sognata
in quel barlume di “primo amore”?
No: la
vita sta in quella giovane notte e con quel macho
intraprendente, così smanioso… Altro che sogni! Lei vuol vivere, ne ha tutto il
diritto. E questo nuovo “lui” non chiede di meglio!
Altro
che illusioni: carne e sangue!
Un drink, qualche maniata, un’occhiatina alle amiche e… via!
Sempre
più simpatico, figo: sa bene che la
ragazza vuol essere “grande”.
Dunque, non
basta un atto? Quella cosa… Già! Che
altro?
Oh! Stesse nel cuore dei due giovani… Almeno nei loro occhi,
prima che tra le mani. Ma il ballo è iniziato, il solito - sempre uguale - al
ritmo dei tamburi della carne…
Niente
campane; nessuna chiave di violino, né sogni cantati. Solo tamburi!
Lei si lascia
cogliere da quella danza, sempre la stessa: illusione d’esser prima e unica.
Finalmente,
le sensazioni sono carezze, baci, fremiti veri. E carne, umori… sesso!
Come poté
anche solo pensare di chiudersi agli altri, per un sogno tanto evanescente?
Ora lei
sa com’è bello l’amore dei giovani: quanta innocenza si dona alla vita. L’inconscio
dei ragazzi lo conosce più di qualsivoglia coscienza matura… Se soltanto vita e
amore fossero davvero il senso e la mèta d’ogni amplesso.
Ciò che la
ragazza ancora non sa è che esistono epiloghi peggiori della delusione d’un sogno
infranto. Che al mondo ci sono uomini più vani del vuoto… E più cattivi di chi
temette di esserlo.
Il
“tipo” che prende il posto del ragazzo, il macho
scelto per riempire il vuoto e farla crescere: “lui”, potrebbe essere vero e
“uomo”; invece… finisce lì.
Altro
che sogno! Prima tanto gentile… Prima, appunto!
E l’incubo
che tante - troppe - donne conoscono… adesso è anche suo. Già si riflette negli
occhi ubriachi degli amiconi ai quali il “grand’uomo” getta ciò che resta del suo
disprezzo: “carne”, ormai. Solo carne
da usare, macinare…
Si dice
che i mostri abbiano sembianze inumane; ma quella notte la soave ragazza - non più “soave”
- ne scopre il volto umano… troppo umano!
Una
doccia, per lavare via la consapevolezza di non esser più bambina… La prima di
chissà quante altre, poi, per non esserlo mai più.
Le
amiche la riaccompagnano a casa: dovrà forse affrontare lo sguardo della madre,
ancor più che mentire al padre. O - magari - neanche questo, quando certi
genitori stanno peggio dei figli…
Comunque,
dovrà guardare se stessa e un amore perduto prima ancora di nascere.
C’è di peggio?
Forse… Il
frutto di certi amplessi che - bontà sua - Natura lascia germogliare pure nel
ventre d’una donna incapace d’essere madre. Ormai rassegnata o volenterosa sgualdrina
di diversi padri; tutti indegni di questo nome.
Alfine,
tutti… assassini!
Assassini!
Perché l’unica creatura innocente e indifesa paga con la vita la stupida
violenza e la violenta stupidità di chi poteva - doveva - esser migliore di
quella carne morta che ora chiamano “umanità”.
«Oh! Quant’è umano risparmiare vergogna a qualcuno… a costo di uccidere!».
Intanto,
il fantasma d’una lacrima segna il volto della donna mentre seppellisce i suoi
stessi sogni in un cassetto della cameretta da bambina… che non c’è più.
E gli amiconi?
Tronfi
del loro esser “uomini”, non hanno certamente finito. Passato lo sfizio della
piccola, ora meritano le grandi. Non ne mancano in fondo a quel baratro dove ormai
si getta la purezza: trampolino donde saltare e illudersi di volare… cadendo. Laddove
si paga un tempo infantile, giocando quel gioco da grandi per scacciare tutti i
grandi giochi bambini.
«No, ma
dai! Mica i ragazzi pensano ‘ste cose».
Noiosi
pensieri: moralismi esagerati e, tutto sommato, superflui, inutili… Come cibo
per chi è già morto.
«Meglio
essere “cibo” che capire cos’è che divora».
Allora… sfizio,
musica e sesso! Che altro?
«Che
altro c’è da fare?».
E via:
fatti la notte diversa per dare senso
a troppi giorni uguali.
Competizioni
e sfide; strofinarsi tra genitali e pezzi di carne per saperci fare. Relazioni e forme dettate dalle mode e modi di
consumare tutto e tutti. E - perché no? - per dare senso pure a se stessi. Dal
corpo all’anima… o al niente per un corpo diverso. Divertente!
«Divertente?».
No! Non
sempre. Anzi: non più!
«Che
succede?».
Succede
che Natura non fa salti e l’equilibrio del mondo non viene discusso né messo in
discussione da quei che più son piccoli e più vogliono sembrare grandi.
«Ma come?
Se certe cose non le fai da giovane, non le fai più».
«Già! E giocati la giovinezza…».
Se la
fantasia degli uomini cede il passo alla perversione carnale, dove scompare l’ingenuo
pudore che rendeva buona una donna bella, laddove il senso della vita è schiacciato da pretese semplicità d’essere di carne gettata via; allora è compito della natura,
mondo o fato, riportare orologio e bilancia in quello stupido “paese dei
balocchi”, dove manca solo ciò che gli illusi son convinti di trovarci.
Certo
che le chiacchiere si sprecano: “filosofi” quando si parla di pallone e nel pallone se si fa filosofia.
«Passiamo
di là»: un vico appartato, dietro al
parcheggio della piazza.
Un
tempo, viale privato per le belle ville affacciate sul mare - nei loro
giardini, alberi di arance e limoni, e fiori - era adesso luogo qualunque di grigie
palazzine. Retro delle nuove “case popolari”… neanche ci affacciavano. Brullo e
buio: gli inquilini ci gettavano l’immondizia. E ciò che esalava dai cassonetti
non era certo profumo d’agrumeti; pure quello, ormai, passato di moda.
Comunque,
un po’ distante dalla spazzatura, prima di ritrovarsi in piazza, rimanevano un
paio d’alberi e una panchina sgangherata. Posto buono per appartarsi tra l’erba,
lasciandoci qualche siringa, o per godersi un sedile posteriore… tra vecchi giovani
o meri amanti d’agognate dolcezze dopo il cornetto. Figli senza regole, ben
lontani da ogni “legge di Castrazione”… ma -
ahimé! - fuori pure da se stessi.
Ora la
donna deve chiamare “uomo” quel piccolo mostro. In fondo, non è diverso da
quello che l’aveva fatta crescere, a suo tempo… traghettandola dall’illusione
d’un sogno all’incubo di realtà passate tra tante mani. Mentre le proprie fanno
male… E per guarire ci si spende giorno per giorno, poi di notte. Sempre più
facile, tremendamente “umano”. Finché - vera illusione - senza guarire mai.
Umanità…
«Umanità?».
Angeli e
Demoni che s’incontrano, si perdono o s’annullano in quell’assurda “umanità”
che usa la vita per morire fino a sognare la morte per vivere.
Le
convulsioni…
«Cos’ha?».
«Qualcosa
che ha bevuto?».
«No, troppe
pasticche!».
Grida: mugolii
di piacere mutano in terrorizzati lamenti; dal sussurro della carne, alle
membra dilaniate.
Che fossero
umani i veri mostri delle fiabe? Uomini che abusano, violentano, deturpano… Donne
che sprecano, svendono, deridono… «Ma cosa?».
Intanto,
si esaurivano le illusioni dei vili realisti.
Un tempo,
le favole diventavano realtà, proprio quando chi ne era rifiutato sopravviveva
creando sogni. Ma adesso, gli amanti si violentano e rifiutano di sognare
almeno quanto non sanno più vedere, né sentire: deprimenti gli eguali, convinti
di fare la differenza. Tutti illusi di vivere, terribilmente morti…
Anime
oscure che bramano i colori - i fiori della vita che gettano via - finché tutti
grigi: terribilmente eguali a se stessi.
E le cose,
poi: com’erano importanti quelle fatte per procurarsene altre. Merci, oggetti
con cui riempire vuoti: sogni per alcuni… incubi per altri.
E alla
fine? Vera fine, irrevocabile fine… Misera fine: lame, zanne, artigli, furore…
e sangue, tanto sangue… Disperazione, terrore, morte… orrore!
«Ma cosa
è accaduto?».
«Chi ha
potuto fare questo?».
«Come?».
Uomini o
bestie?
«Pazzi?».
I soliti criminali, degenerati, balordi, stanchi di non fare più notizia.
Oppure…
peggio!
«Peggio
di così?»… Che mai è peggiore del fondo, se non il fondo stesso?
Il sole
del giorno dopo - ancora si ostina a risorgere - pare abbia sempre meno da
illuminare.
Ma lì,
in quel vicolo dove solo poche ore prima si godeva la vita, tra sofismi banali
e banalità sofistiche, la giovinezza stessa s’è consumata ancor prima di vivere.
Tanti
bei miseri resti di quello strano ardore:
ragazzi e ragazze, uomini e donne, belli magari… Ma ora eccoli lì morti; sbranati,
vomitati; nemmeno si riconoscono! Spezzoni di corpi dilaniati; sangue
raggrumato per terra e sui muri… ha macchiato pure i sacchi dell’immondizia!
Niente
più di ciò che altri ignavi, a volte, tra rabbia e paura ritrovano al mattino,
in questo o quel luogo più o meno appartato.
Oggi è
successo dove ingenui sventurati si erano nascosti per uccidere la loro paura
del buio, a sfidare la notte: unica giovane
rimasta.
«Almeno,
stessero godendosi prima dello strazio?».
Come
sempre, nessun testimone e, ancora, nessun superstite.
Neanche
le mura dicono niente, a parte forse l’eco delle grida di terrore che le
avevano martoriate.
Il
crimine misterioso, il caso, il
“giallo”: sui giornali, in televisione e chiacchiere per strada, al mercato,
nelle scuole…
Indagini
o profezie: semplici poliziotti o esponenti di circoli perfino “esoterici”.
Chissà
chi di costoro aveva maggior ragione di preoccuparsi nella loro bella civiltà che avanza, dove la libertà dei
costumi aveva soppiantato le crisi esistenziali dei moralisti, sebbene certuni non
si distinguevano dalle scimmie e ancora rubavano, uccidevano, violentavano…
Nel mondo
moderno, dove la loro tecnologia liberava i vecchi schiavi imprigionandone le
anime con catene nuove… Dove si volava senz’ali e si correva sempre più veloci -
con mezzi ipertecnologici… ancora a
petrolio - Dove un’usurpata scienza spazzava via le superstizioni, seppure masse
di votanti, gonfiati di speranze, continuavano a farsi rappresentare da
sedicenti ministri perfino presso questo o quel “dio”…
Nel loro
villaggio globale, dove connettersi da
un capo all’altro del mondo e fare tutto - pure sesso! - via computer… Amici del “grande fratello”,
eppure sempre meno capaci di riconoscersi o toccarsi.
In quel
loro bel mondo preconfezionato dal bene
assoluto: tutti dello stesso colore che non colora; “eguali”, fratelli… senza bisogno di Padri.
Eppure,
tutti assillati da ragioni fin troppo concrete per temere d’incontrare un altro
che si rivelasse “disumano”… o semplicemente diverso.
Ma, dove
nascondersi?
La gabbia era tremendamente piccola! E,
spesso, tutt’altro che dorata.
Solitudini
sempre più intense si ammassavano come granelli di sabbia in un deserto dilagante.
Già non si
era più nemmeno liberi d’uscire per… l’ora
d’aria.
Ormai
succedeva sempre più spesso: nonostante tante luci accese dalla modernità, le
notti parevano più buie che in ogni altro tempo passato o, chissà, di quale futuro.
Chi non
rinunciava a vivere, spesso doveva illudersi di esistere: meri attori e proiezioni di chissà quale demiurgo
distorto, ridotti a riempirsi di cose, non essendo altro che corpi.
Tutti portati
a denigrare, perfino odiare ogni cosa
suscettibile di caratterizzare una qualsivoglia
PERSONALITÁ: ogni diversità capace d’evidenziare Identità non comparabile con
l’omologazione di quel delirio edonista.
Tutti
apolidi con se stessi e figli di nessuno; senza casa, ma cittadini del mondo… spesi e consumati tra riti di massa nei locali
notturni o nelle piazze “impazzate” d’ogni
giorno.
Tutto finiva
sempre più tra le ombre assassine di quei “mostri” che adesso possedevano le
notti.
Mostri che osavano uscire dagli schemini borghesi e imporsi ai
loro ipocriti lumini… Che davano coerenza e forma alle peggiori miserie umane,
alle loro paure e viltà.
Mostri… Seminavano
morte e terrore, per poi scomparire lasciando cadaveri mutilati; qualche volta
anche superstiti allucinati senza memoria, quasi più straziati nella mente di
quanto fossero le carni delle vittime.
«Mostri… Ma davvero?!».
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Cuore di Lucifero è un romanzo di Soter Janus
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