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MARTINA SPERDUTO
RITRATTO
DI MOSTRO GIUGNO 2016
La faccia che cambia, non so
distinguere le persone, le loro facce, i veri dai falsi.
Per me tutti sono uguali.
Il mostro aveva una faccia
serena prima delle crisi; arrivava di colpo, senza avvisare, e soprattutto
senza un perché.
Il bene, in un lampo, si
trasformava in un male che faceva troppo male.
Tutto gli partiva dalla
faccia, gli occhi, con le pupille piccole e salde su di me, come spilli
impiantati, mi avvertivano dell’arrivo puntuale del mostro.
Narici spalancate e mascelle
serrate, si prestava a diventare paonazzo.
Pugni serrati, piedi sicuri
e ben saldi a terra.
Respiro, il suo, si faceva
sempre più asfissiante, non riuscivo mai a respirarla quell’aria malata, che si
creava tutt’intorno a lui.
Nulla ormai mi toccava, se
non la sensazione fastidiosa di bagnato sul mio viso, ed il bruciore vivo,
all’interno del mio corpo, mentre incassavo i suoi colpi.
IL
MIO BUIO LUGLIO 2016
Pezzi di corpo assemblati,
sono cosa, non persona.
Testa, come un film fatto
solo di flash back.
Collo che, se lo sfiori, è
un fiore nato, fiorito e già appassito.
Seni, innocenti, che ancora
mi fanno assaporare lo spensierato ricordo dell’essere bambina.
Ventre e stomaco, piatti, troppo
forse.
Braccia e Mani esili, si
tengono incollate ai fianchi e mi impediscono di difendermi.
Gambe, leggere come foglie
che tremano di riflesso, per ogni soffio. Piedi, stanchi di vagare in questo
mio buio.
RIFLESSIONI
D’AGOSTO 2016
Era agosto, i raggi del sole
riflettevano, su tutto e tutti e la sua pelle color bianco-latte iniziava ad
arrossirsi.
I suoi occhi, così chiari,
infastiditi da tutto, anche dalla luce, si chiusero.
Era sola, sulla riva del
fiume, ascoltava il rumore che produce l’acqua quando scorre, ed insieme, i
pensieri, i suoi, cercava di lasciarli unire al fluire di quel suono.
Il vento, le scompigliava
ogni boccolo.
Tutto questo ascoltare, in
silenzio, per un attimo le regalò un brivido di realtà, era libera!
Stesa agli argini del fiume,
Tina decise di farsi un sorriso, vero, naturale, rilassato e pensò che amava il
mese di agosto.
In questo caldo mese, un
anno esatto fa, aveva spezzato una cosa grande, quasi a chiamarla dolore
infinito. Aveva trovato la chiave, in qualche luogo sconosciuto della sua
anima, per aprire i lucchetti che la tenevano imprigionata.
Agosto, metaforicamente per
lei era il mese in cui i frutti, cessavano di marcire, diventavano dolci da
mangiare e sarebbero dovuti essere tutti ottimi da li in poi.
Tina aprì gli occhi, il
sorriso, che durò un attimo troppo breve, lei cercò di assaporarlo il più a
lungo possibile per impregnarsi il sapore di felicità sulle labbra.
Purtroppo, dentro di sé, non
era pronta, non si ricordava più com’era stare bene e questi sorrisi spontanei
che le apparivano come benedizioni, lei, se li faceva sbiadire dai ricordi,
quelli brutti, che l’avevano segnata.
Tornata cosciente della sua
realtà, conservando i sui primi fugaci sorrisi in quel tepore d’agosto, si alzò
di colpo e ripiegò con cura il telo su cui si era distesa. Se ne andò.
Non aveva né anima né corpo,
sentiva solo un fiume in piena, quello che ormai aveva in viso.
LA
NOTTE CHE NASCONDI DENTRO SETTEMBRE 2016
Appena si addormentava, il
suo inconscio diventava il protagonista dei giochi, violento e persistente, le
sbatteva in faccia la realtà.
Nei suoi incubi rivedeva il
calvario, quel dolore che aveva sopportato troppo a lungo. Nei sogni, lei
riusciva a vedersi dentro, si vedeva tutta, era come una persona totalmente
esterna che osservava. Amava sognare, poiché nella realtà, ad occhi aperti le
era impossibile vedere la sua persona e conoscersi.
Tina, aspettava ansiosa la
notte, per ritrovarsi e cercare di capirsi sempre di più.
Ma il suo inconscio, ha
voluto fermarsi, ora non la va più a cercare nei sogni.
Ora la notte è notte, come
la notte di una puttana che mente alle sue figlie per farle mangiare, la notte
di una moglie insonne, che aspetta il marito finché non s’addormenta,
l’indomani si sveglia ed accanto a lei trova la coperta ancora piegata ed il
cuscino non ancora sgualcito.
Tina, la notte, ora la
vedeva una bugia, una freccia lanciata dritta che la colpiva e la lasciava
intontita. Non sognava più e non poteva più raccontarsi a sé.
DURA
COME PIETRA OTTOBRE 2016
Ero divisa in due, spaccata
a metà, rimembravo il muro di Berlino e quasi mi ci sentivo Io.
Il muro, il mio corpo, la
parte destra e quella sinistra stavano, fermamente divise, i miei sentimenti.
Il mio animo combattuto, in
una guerra tra voler ricordare tutta la rabbia ed il dolore repressi, ed il
voler dimenticare il poco che a sprazzi mi tornava alla mente.
Io ed il mio corpo, statici,
fermi nel mezzo.
Immobile, non sapevo che via
prendere per unire le parti, non sapevo come buttare giù il muro, quella parete,
rovinata dal tempo, che non si sapeva come faceva a stare dritta.
Io e la mia pelle e con lei
i miei organi, non li sentivo.
Il mio IO dentro ed il mio
IO fuori, erano scollegati.
Ero così spaventata da
questa mia insensibile instabilità, presi una comune lametta, quella che l’uomo
usa per la barba, e la donna per gambe e ascelle, e braccia, scelsi il braccio.
Velocemente, feci dei tagli
superficiali, non volevo farmi del male, cercavo di sentire, di avere una
qualsiasi emozione, era nato in me un sentito bisogno di provare qualche cosa,
l’unica cosa che cercavo e non trovavo, avere dei sentimenti.
Se si chiamano sentimenti io
li percepivo così, rendendomi consapevole del poter provare ancora dolore.
IO,
ME E L’ALTRA ME NOVEMBRE 2016
In questo momento sono IO,
ferma e congelata da quello che ho vissuto, sì mi vedo ibernata in questa vita.
Subentra la vera ME, quella
che si sente ancora un po’ viva, che vuole sorridere, capire gli sguardi senza
mai abbassare il suo, sentirsi porre una domanda ed avere sempre la risposta
pronta. La vera me, brilla e splende di luce propria, che si riflette in tutto
e su tutti, così sicura di sé che comunque vadano le cose, si guarda allo
specchio e si vede, bella, pura dentro, così in pace da volere il bene degli
altri senza mai chiedersi se fidarsi o titubare.
La vera me, purtroppo non si
libera, il ghiaccio che la tiene imprigionata non si scioglie, nemmeno sotto i
caldi raggi d’agosto.
Eccola, cupa e
spaventosamente puntuale, si presenta l’altra ME.
SILENZIO
CAUSA DEL MIO MAL DICEMBRE 2016
Quella sensazione di
soffocamento, come quando sei sott’acqua e finisce tutto l’ossigeno che hai nei
polmoni, che se non nuoti e torni a galla muori. Sono ad un punto fermo, ho
realizzato tutto, vorrei ripercorrere ogni dettaglio ma ho un blocco dentro che
non mi fa sentire cosa provo, anzi mi fa analizzare il mio stato con un occhio esterno, come se sapessi cosa mi é successo ma
non volessi sentirlo dentro di me.
So di essere stata privata
di tutto, lentamente, con calma, quasi senza accorgermene.
Il mio occhio esterno sa che
sono restata, asciugandomi le lacrime, stampandomi sulle labbra finti sorrisi e
mettendomi il ghiaccio dove mi colpiva. Sa anche che ho retto tutto, le
gelosie, la rottura di tutti i contatti, lo svanire di ogni passione, gli
insulti, gli sputi, le pisciate, il linciaggio dei miei vestiti non consoni, il
lancio dei coltelli che grazie a dio ho sempre schivato, le braccia viola, le
gambe gonfie da non poter guidare. Il mio occhio esterno é amareggiato, perché
ho resistito ed assorbito, ma fiero, perché é scattato qualche cosa dentro di
me e sono scappata.
Purtroppo, la mia mente che
non vuole pensare, sembra essersi fermata, là, nel girone più basso
dell’inferno di Dante.
Navigo, annego e soffoco nei
brutti ricordi, che a loro volta si fanno inghiottire dal senso di colpa.
Ricordi mangiati vivi, dalla rabbia che provo nei miei confronti, per non
essere stata forte, anzi per non essere stata me stessa.
Del mio male, mi sento io la
causa, sono restata là, a farmi sbranare tutto, senza fare nulla, non mi mi
sono venute parole per parlare, non ho saputo fare gesti per chiedere aiuto, mi
sono solo vergognata di lui, di me e di me con lui.
Ho voluto coprire, gettare
fango su fango e buttarmelo addosso, vestirmi di un aria innocente che
distoglieva gli altri dal mio vero essere.
Il mio occhio esterno
osserva, quale male atroce mi sono inflitta, curandomi di tenere tutto dentro
di me, silenziosamente.
IL
PROFUMO DELLA FORZA INTERIORE GENNAIO 2017
Senza lui, l’atmosfera
pesante è diventata a tratti respirabile.
Ci sono mattine fresche e
pulite, fatte di pensieri positivi e profumati di gioia, che crescono nel prato
della mia mente come fiori rigogliosi.
Credo che la linfa di questi
pensieri provenga dalla mia forza interiore, dal mio istinto animale, dalla
rabbia e la tristezza che non so come ho trasformato in coraggio per fuggire
silenziosa, come una gatta.
L’aria pulita, a tratti
respirabile, a volte ancora si trasforma in rarefatta.
Quando davanti a me si presentano
situazioni, che mi riportano ai miei momenti critici, mi rendo conto che per le
ferite interne non c’è una cura prestabilita da seguire ne una terapia che
prometta di guarire.
Non so, se diventando
complice del tempo, questo mi permetta di capire quali insegnamenti trarre da
una cosa che ti fa così male al punto di cambiarti dentro, di accenderti e
spegnarti in base alle situazioni esterne e non secondo il tuo essere.
Non so se mai troverò o darò
pace alla mia lotta, quella guerra infinita del voler dimenticare.
Non so per quanto ricorderò.
Non so nulla ma sento.
Mi sento forte!
PREGHIERA
A ME FEBBRAIO 2017
Spogliati di tutto, il tutto
non sono oggetti né persone.
Il tutto sei tu, togliti le
ombre e lascia spazio alla luce del sole.
Spogliati di te, innamorati
di te e rivestiti di te.
Semplice e spontanea come se
indossassi il tuo vestito migliore.
Negli occhi della memoria
è un racconto di Lucio Doria
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