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CLELIA ACCARDO
MODELLA OFFRESI
Bobo, uno dei
mastinacci dell’agenzia addetti alla sicurezza delle ragazze, parcheggiò poco
distante dal palazzo.
Glenda si guardò
nello specchietto retrovisore; benché il trucco fosse perfetto diede la cipria
sul naso e ritoccò il rossetto. Le unghie lunghissime, laccate di scarlatto,
sembravano finte tant’erano belle. Gli uomini le trovavano eccitanti e lei le
curava particolarmente.
«Come sto?» chiese
Glenda a Bobo. E afferrandogli la mano «Mi fido di te.»
«Sei uno schianto.
Non mi muoverò da qui.» rispose lui complice.
Glenda sospirò. Le
seccava dare una bella fetta del guadagno all’agenzia; ma era il modo più
sicuro per non correre rischi.
Rabbrividiva
ancora ripensando a due mesi addietro: il tale che l’aveva richiesta, un
balordo strafatto di cocaina, non volendo lasciarla andare, l’aveva picchiata e
quasi strangolata. Per fortuna Bobo, intuendo il pericolo, sfondata la porta,
aveva steso il tipo assestandogli un poderoso pugno e l’aveva tirata fuori dai
pasticci. Da allora Bobo era diventato il suo angelo custode.
L’uomo che
l’attendeva era un professionista affermato; ma lei non poteva sapere cosa gli
passasse per la testa. Passato il tempo stabilito Bobo l’avrebbe cercata.
L’uomo aveva
chiesto un’esperta, una di provata abilità, e lei, malgrado fosse molto giovane,
lo era eccome. Bella da togliere il fiato: taglia da modella, gambe
chilometriche, fondoschiena alto, pieno, sodo, seno turgido da coppa di
champagne; nel giro era nota come “bella e maledetta”. Il nasino
alla francese, la bocca carnosa, i capelli cortissimi biondi dai riflessi
ramati e miele le davano al contempo un’aria ingenua ed erotica. Gli occhi da
gatta, però, d’un verde acceso, incorniciati da lunghe ciglia castano dorato,
erano spietati ed esprimevano una sete di rivalsa che strideva con i tratti
angelici.
Glenda indossò la
mascherina di merletto nero, un capriccio del professionista, sistemò i capelli
e allungò sul marciapiede la gamba velata di scuro resa ancora più slanciata
dall’altissimo tacco a spillo; la balza di pizzo dell’autoreggente evidenziò il
contrasto tra la pelle bianca e il rosso lucido della minigonna e del giubbotto
in ecopelle.
Un passante
sobbalzò alla vista e fischiò tra i denti. Glenda rise compiaciuta, prese la
borsa, i “ferri del mestiere”, salutò Bobo e si incamminò verso il palazzo.
Era una ragazza
che non passava inosservata. Durante il breve tragitto ricevette numerosi
apprezzamenti; la mascherina accresceva il fascino e rendeva più torbido il
mistero.
Entrò
nell’androne, il portiere, un uomo anziano dall’aspetto repellente,
evidentemente informato, bisbigliò:
«Secondo piano, la
porta in fondo!» poi, quasi scusandosi «l’ascensore è guasto !»
Glenda salì la
rampa di scale. Sentì addosso i suoi occhi, il vecchio dal basso girava la
testa scrutando le cosce. Lei lo sorprese che si passava la lingua tra le
labbra.
Prima di suonare
il campanello aggiustò la mascherina, allargò la scollatura mostrando il
reggiseno ricamato di strass e assunse una posa sexy.
«Ti stavo
aspettando, sei puntuale!»
Glenda si stupì
trovandosi di fronte un uomo giovane ed attraente dalla voce calda, profonda e
sicura.
Effettivamente il
tizio, marcati tratti latini, a parte una leggera pancetta era piacente,
intrigante. Si chiese perché diavolo uno così dovesse pagare.
Lui sembrò
leggerle dentro e rispose:
«Odio le
complicazioni sentimentali e…voglio soddisfare qualche stranezza!»
Poi, dopo averla
osservata da capo a piedi, annuì con un cenno della testa e aggiunse:
«L’agenzia aveva
garantito sulla tua avvenenza ma di persona sei molto più seducente. Non
togliere mai la mascherina.»
«Come vuoi. Ti
chiami?»
«Leo, chiamami
Leo.»
Era, ovviamente,
un nome falso. D’altra parte, nemmeno lei si chiamava Glenda.
«D’accordo Leo. Ti
dispiacerebbe pagare in anticipo? … E non si accettano assegni!»
Glenda sorrise
maliziosa ma in cuor suo pensò che ben il trenta per cento sarebbe andato
all’agenzia.
Leo prese il
portafogli e le porse due banconote da cento. «Ora, bambina farai ciò che
voglio, vero?»
«Puoi giurarci
Leo. Ti farò sentire le campane, vedere le stelle e… anche soffrire se ti
piace. Ho con me tanti giochini. Dolore e delizia.»
Glenda indicò la
borsa ed infilò le banconote in una piccola tasca interna del giubbotto.
«Solo la
mascherina baby, nient’altro.»
Leo la condusse
nell’alcova. Un letto a baldacchino troneggiava nel mezzo della stanza arredata
con mobili ottocenteschi. In un angolo l’immagine di una Madonna allattante su
un antico inginocchiatoio sembrava ammonire l’amore profano.
Glenda, ancora una
volta, si meravigliò. Leo non dava l’idea di un devoto, tuttavia conosceva
abbastanza gli uomini per ritenerli capaci di tutto. Rammentò un habitué che
alla fine d’ogni incontro piangeva disperato per aver tradito l’adorata moglie
e si tormentava battendosi il petto.
«Ognuno ha la sua
mania. Questo prima pecca e poi si assolve!» pensò beffarda.
Note lente,
romantiche d’un sassofono riempivano l’aria. Glenda scorse una Leica sopra
un tavolinetto.
«Sei un fotografo
professionista?» domandò interessata.
«Solo un
appassionato. Voglio fotografarti mentre ti muovi per la stanza. Fa’ tutto
quello che vuoi. Cammina, balla, gioca e naturalmente spogliati!»
«Solo questo? Nudi
artistici? Non vuoi…?» chiese Glenda perplessa e pensò:
«Un altro strambo.
Ad ogni modo ha pagato e se si diverte così tanto meglio.»
Curiosa volle
sapere:
«Perché hai
chiamato me?»
«Una modella non
poserebbe in modo particolarmente licenzioso. Ti voglio oscena.» rispose Leo
convinto.
Glenda si sentì
punta sul vivo, pensò:
«Razza di
presuntuoso, che ne sai di quel che farebbe una modella? Io sono una modella.
Prima d’ogni altra cosa sono una modella.»
Infatti, aveva
fatto tanti provini ed alcuni erano andati bene: aveva pubblicizzato dei
costumi da bagno e un dentifricio. Sfilava sulle passerelle, faceva la ragazza
immagine nei programmi televisivi e ora attendeva l’esito di un’audizione. Non
poteva certo vivere con servizi pubblicitari occasionali. Per questo faceva…
quello che facevano tutte per emergere. E a differenza delle altre aveva i suoi
principi: quando le avevano proposto dei film hard aveva rifiutato. Era una
modella e prima o poi ce l’avrebbe fatta. Era solo questione di tempo. Comunque
fece buon viso, considerò che le foto potevano tornarle utili, naturalmente le
meno piccanti. Un book fotografico costava un occhio e doveva inserirne sempre
di nuove.
«Allora, piccola
cominciamo?»
Leo prese la
macchina fotografica, sedette ai piedi del letto; posò su di lei gli occhi
scuri, tenebrosi e penetranti. «Vediamo cosa sai fare».
Glenda si parò
davanti e con estrema lentezza al ritmo caldo del sassofono cominciò a
spogliarsi. Tirò giù la cerniera del giubbotto, il reggiseno nero costellato di
strass apparve per intero, i piccoli cristalli luccicarono come fiammelle
ardenti. Glenda scoprì le spalle con grazia. Sentendo il continuo clic degli
scatti comprese d’essere sensuale e di non deludere Leo. Alzava armoniosamente
le braccia, spandendo una fragranza ricercata e costosa. Come un’odalisca
danzava muovendo il ventre e le mani. L’atmosfera divenne carica di profumo ed
erotismo. Glenda tolse il giubbotto e abbassò la gonna lasciando cadere tutto
ai piedi. Il mucchietto rosso lucido sfolgorò per un attimo prima d’essere
calciato verso Leo. Glenda giocherellò col perizoma di paillettes e col
reggiseno. La danza serpentina invitava a guardare dietro i lustrini. La
mascherina rendeva tutto più audace ed ambiguo. Gli scatti si susseguivano.
Glenda assumeva pose ardite, civettuole, invereconde, lascive e licenziose. La
lingua guizzava tra le labbra ammiccanti, le mani carezzavano il corpo. Slacciò
il reggiseno lasciando intravedere i capezzoli rosa e turgidi, si girò di
spalle, agitò sinuosa i glutei solcati dalla sottile striscia di cristalli. I
clic risuonavano frenetici. Glenda tornò di fronte, la bretellina del reggiseno
ruotò sul dito. Il perizoma scintillò stuzzicante. Sfacciatamente spostò con
audacia il triangolino e i riccioletti biondo scuro fecero capolino. Leo
fotografava soddisfatto e si complimentava. Glenda quasi non prestava attenzione
alle parole di Leo.
Negli incontri si
era abituata ad astrarsi, specialmente con gli uomini meno attraenti.
Sorrideva, li incitava, li accarezzava, si concedeva ma la mente era altrove.
Pensava alle proprie faccende, si perdeva nei sogni. Dava il suo corpo e basta.
Con Leo era ancora più facile: non doveva dire quelle frasi di rito che gli
uomini amano ascoltare sulla propria virilità né doveva fingere di godere. Leo
voleva solo fotografarla come una venere oscena in mascherina. In fondo si
trattava di un servizio fotografico come un altro, solo più osé.
Nell’assumere le
pose più scostumate e dietro i sorrisi invitanti Glenda pensava ai progetti
futuri:
«Male che vada
dieci anni di questa vita e mi ritiro con un paio di appartamenti. Naturalmente
voglio sfondare come modella e attrice, senza contare che ho una voce discreta
e potrei anche cantare. Magari mi sposo con un ricco zio Paperone. Una cosa è
certa non finirò in strada!»
Leo visibilmente
turbato le chiese di stendersi sul letto. «Guarda, guarda, si è eccitato! Del
resto, ci so fare!» Glenda gli fece cenno di avvicinarsi. In verità, Leo le
piaceva e un po’ l’irritava che le resistesse. Leo, però, non posò la macchina
fotografica, continuò a scattare. Glenda, quasi offesa gli chiese:
«Non ti va?»
E tra sfida e
giustifica:
«Guarda che sono
pulita. Periodicamente faccio gli esami!»
«Sei molto bella,
ma ora mi interessano le foto!»
Glenda fece
spallucce e prese a rotolarsi tra le lenzuola. Mordeva le coperte, cavalcava i
cuscini, si avvolgeva tra le coltri e ne emergeva come una ninfa dalle acque.
Il nero della mascherina baluginava tra il rosso delle unghie; le gambe strette
tra le braccia, il mento poggiato sulle ginocchia le davano un’aria imbronciata
e sexy.
Infine, il
reggiseno, il perizoma e le calze volarono per la stanza e scivolarono sul
pavimento.
«Brava, così, non
fermarti!»
Leo la
incoraggiava ad atteggiamenti privi di freno ritraendola nelle pose più
impudiche.
Trascorsa un’ora
Glenda lo pregò di farla riposare.
«D’accordo,
facciamo una piccola pausa. Ti va un whisky? Parliamo un po’ di te. Perché fai
questo lavoro?»
Leo le porse il
bicchiere attendendo la risposta.
«Oddio, la solita
solfa!» sbuffò Glenda di nascosto.
Tutti le facevano
la stessa domanda e si aspettavano una storia strappalacrime. Ma non c’era
niente di patetico. Non doveva mantenere una madre malata, un nugolo di
fratellini e un padre ubriacone. I suoi non erano né corrotti né violenti. Lo
faceva per essere indipendente e vivere bene. Proveniva da una famiglia
normale, si era diplomata al liceo classico e voleva diventare una donna di
spettacolo. Le piacevano i bei vestiti, i gioielli e la vita comoda. Fin da
bambina, guardando le soap opera, aveva bramato le grandi, lussuose ville con
piscina. Da sempre anelava di poter far parte di coloro che contano. Era giunta
dalla provincia inseguendo il sogno di calcare le scene. Doveva fare la
commessa o servire in qualche squallido locale per uno stipendio
da fame? Tante primedonne avevano intrapreso lo stesso percorso. Inoltre, l’agenzia
le garantiva uomini facoltosi, potenti, mica dei poveracci! Fare l’accompagnatrice era
solo una parentesi dell’esistenza, un mezzo per raggiungere le sue aspirazioni. Non
era una prostituta. Solo il pensiero la faceva incavolare. Era una modella ad
un passo dal successo. Ma che senso aveva spiegare le sue ragioni? Glenda lo
guardò cattiva, gli occhi lampeggiarono, la voce suonò dura:
«Lo faccio per
soldi! Mi piace la bella vita!» rispose e bevve tutto d’un fiato il whisky
«Sono pronta, riprendiamo!»
Glenda si levò dal
letto, prese una poltroncina e la sistemò innanzi all’’armadio.
Lo specchio
riflesse il corpo nudo.
Leo gradì l’idea e
Glenda si esibì con sensuale maestria. Seducente e felina si strofinava sui
braccioli, gettava indietro la testa estatica, si passava le dita sulla bella
gola. Il corpo perfetto si muoveva languido e disinvolto, perfino nelle pose
più sconce ella appariva splendida: un angelo caduto, bellissimo e dannato. Leo
immortalò tutto il fascino della perversione.
«Il mio tempo è
finito. Spero tu sia soddisfatto!»
Glenda guardò
l’orologio d’oro e brillanti al polso, il regalo di un affezionato danaroso
“amico”.
Attenta a non
togliere la mascherina e assicurandosi che le banconote fossero nel taschino
del giubbotto si rivestì. Con nonchalance chiese:
«Posso avere
qualche foto? Quelle non troppo spinte, si intende!»
«Certamente. Te le
lascio in portineria.»
«Da quel vecchio
sporcaccione?» disse Glenda sarcastica.
«Le metterò in una
busta ben sigillata.» la rassicurò Leo.
«D’accordo, io
vado. Richiamami se vuoi.»
Prese la borsa e
salutò Leo lanciandogli un bacio.
«Sicuro che ti
richiamo. Mi è piaciuto da impazzire, sei molto brava.»
«Sempre con la
mascherina?» chiese maliziosa.
Leo rise e chiuse
la porta.
Glenda scese le
scale, il portiere la guardò e strizzò un occhio. Visibilmente eccitato, quando
lei gli passò accanto, sussurrò strascicando le parole: «Quanto sei bella!».
Glenda l’apostrofò
con disprezzo: «Vecchio maiale!»
Lui la seguì con
lo sguardo mentre si allontanava.
Glenda si fermò
sulla soglia del portone. Appoggiato all’auto vide Bobo che le fece un cenno di
intesa. Ebbe un moto di simpatia.
«Povero diavolo!»
pensò.
Come lei anche
Bobo aspettava l’occasione giusta, le aveva confidato che risparmiava per
aprire una palestra tutta sua. Intanto lavorava duramente, oltre all’agenzia
faceva il buttafuori in un locale malfamato e l’istruttore in una palestra di
periferia.
«Che farci, ognuno
ha i suoi guai!» Lei doveva pensare ai fatti propri. Quella sera c’era un
casting e un amico influente l’aveva raccomandata.
Glenda rispose al
cenno e tolse la mascherina. Si era un po’ sgualcita.
«Inutilizzabile
per una del mio livello!» rifletté soppesandola.
Contrariata la
lanciò dietro le spalle.
Il vecchio si
precipitò a raccoglierla. La tenne tra le mani come fosse un oggetto prezioso.
Gli occhi gli brillarono di lussuria. Laidamente l’accarezzò; poi, la mise sul
viso e si inebriò del profumo.
Modella offresi è un racconto di Cecilia Accardo
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