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GIORGIA SPADAVECCHIA
L’ABITO
La
luce a neon dello specchio si accese e illuminò il suo viso e i suoi lineamenti
delicati.
Si
sedette sullo sgabello di pelle nera nella sua stanza scura di via
Margutta.
Non
era mai stata contenta di vivere in un luogo così trafficato e, per di più, il
suo appartamento non era dei migliori.
Non era mai stata
contenta di vivere in un luogo così trafficato e, per di più, il suo
appartamento non era dei migliori.
Le era stato affittato dal proprietario
del bar principale della via quando era arrivata.
La luce del tramonto che penetrava
dalla finestra le faceva sembrare tutto più leggero. Riusciva, infatti, a
rischiarare il piccolo disimpegno adibito per contenere vestiti e trucchi di
cui poteva sicuramente andare fiera.
Era arrivato il momento di prepararsi
per affrontare un’altra serata impegnativa.
Si diresse verso
l’armadio con le idee chiare e con in mente l’abito perfetto da indossare ma,
quando lo aprì, si rese conto che le cose non erano così semplici.
Ogni abito
conteneva un ricordo che la faceva tornare indietro nel tempo.
Li aveva
acquistati tutti nel suo Paese d’origine, in una commerciale boutique di abiti
smessi ed economici.
Ogni centesimo
risparmiato per quegli abiti, da indossare solo di nascosto, mamma e papà non
avrebbero approvato e avrebbero fatto troppe domande.
Era felice,
nonostante le gambe lunghe ma troppo definite che per lei erano sempre state un
grande fardello.
Un abito in
particolare, però, attirò la sua attenzione, un abito che non metteva da molto
tempo e che le era stato regalato per il suo diciottesimo compleanno da un
amico speciale.
Peccato che,
quello stesso giorno, avrebbe dovuto lasciare lui e tutto quello che la faceva
sentire al sicuro per intraprendere il lungo viaggio che l’avrebbe portata in
Italia.
Il suo colore
rosso fuoco la attirava e si abbinava benissimo alle scarpe nere e al rossetto
che metteva in risalto le labbra carnose.
Decise di
indossarlo.
Nonostante fosse
cresciuta, l’abito le stava perfettamente e tutto il mondo circostante non
aveva più nessun potere su di lei. Si sentiva, per la prima volta dopo molto
tempo, protetta. Tutti i suoi ricordi e quello che aveva di più caro erano
rinchiusi nell’odore di naftalina di quel vestito.
Legato come sempre
alla maniglia della porta, la attendeva il suo foulard, silenzioso e
accondiscendente come un cane. Lo portava sempre con sé e lo utilizzava per
coprire le parti del suo corpo che non era riuscita ad accettare.
Spense le luci,
chiuse la porta e cominciò a scendere le scale. Il palazzo era freddo e in
penombra, il sole era scomparso facendo posto alla luna. I negozi erano vuoti e
le strade quasi deserte. La tristezza cominciava a invadere il suo corpo
scacciando via i sogni di amore e di fuga.
Era stanca.
Si sedette sulla
sua sedia immersa nel buio e attese tutta la notte. Le macchine le passavano
davanti a gran velocità; solo qualcuno prestò attenzione alla sua vulnerabilità
e alla sua solitudine.
Un selfie
improvvisato per noia le restituì un’immagine riflessa in modo confuso. Il
giorno dopo avrebbe avuto parecchio da fare: la barba stava ricrescendo, il
foulard probabilmente era troppo piccolo e quelle gambe…
La notte trascorse
come tante altre e, quando finalmente cominciarono a vedersi i primi spiragli
di luce, era giunto il momento di tornare nell’unico posto lontano
dall’umiliazione.
Aprì la porta,
tolse le scarpe e si infilò nel letto con il suo stropicciato abito
rosso.
Si sentì
finalmente al sicuro.
Chiuse gli occhi e
spense il giudizio fuori e dentro di sé.
L'abito è un racconto di Giorgia Spadavecchia
(13 anni - terza media)
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