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AURORA ZAPPA
LA RAGAZZA CON LA VALIGIA
Da sei mesi Luca
lavorava come capo della sicurezza del quartiere.
Ogni notte
osservava le strade della Città.
Nelle prime ore
del turno il quartiere era sempre estremamente vivace. Amici, colleghi, coppie
passeggiavano per le strade e si spostavano tra i locali per un aperitivo o una
cena. Risate, chiacchiere e confidenze. Luca era ormai in grado di distinguere la
relazione tra le persone e addirittura cosa si stavano dicendo, non le parole
specifiche, ma la sensazione di quelle parole.
Al mattino la
Città era dormiente e a lui sembrava più bella.
Nelle prime ore
del mattino aveva un fascino particolare. Le luci semi-accese coloravano le
facciate dei palazzi di arancione e il silenzio, qualcosa di quasi impensabile
durante le frenetiche giornate, dava l’impressione del riposo del guerriero,
stanco dopo una battaglia.
Era poi
affascinato dal risveglio della Città, molto più lento del suo addormentarsi,
quando le persone iniziavano a camminare, i mezzi e le macchine a muoversi, tra
le luci non ancora accese e il cielo ancora parzialmente buio. La Città
sonnecchiava ma era pronta a prendere vita.
E poi c’era lei.
Quella figura
che scorgeva ogni venerdì sera e ogni lunedì mattina con una valigia pesante
trascinata fino alla fermata del tram.
Era affascinato
da lei.
Era attirato dal
suo modo di muoversi, affaticata per il trasporto del bagaglio ma attenta a
tutto quello che accadeva intorno e pronto a scattare come un gatto.
Tra tutte le
persone che percorrevano il Corso il venerdì sera, che frequentavano il
quartiere ogni giorno, il suo sguardo si era soffermato su di lei.
Tramite gli
schermi di sorveglianza, l’aveva seguita finché non l’aveva vista salire sul
tram. E poi, il lunedì mattina, rivederla percorrere quella strada nel senso
opposto era stata una vera sorpresa. E la settimana successiva, e quella dopo
ancora. Più la osservava tramite gli schermi, appariva nel terzo da sinistra e
scompariva due immagini accanto, più le pareva di conoscerla, di capire quando
era particolarmente stanca, con il passo strascicato, e la valigia che appariva
pesantissima; quando era arrabbiata e si muoveva a scatti, quasi militarmente,
e la valigia sembrava quasi un’arma; quando era triste ed era raccolta su sé
stessa con le spalle e la testa abbassate e il bagaglio era l’unico sostegno;
quando era allegra e sembrava camminare a dieci centimetri da terra con il
trolley come unica ancora a tenerla legata alla strada.
Apparentemente
una ragazza come tante altre che passavano ogni sera per la Città, ma non
esattamente come le altre.
Aveva qualcosa
di particolare, un elemento, un qualcosa che Luca non sapeva descrivere, ma che
aveva attirato la sua attenzione. Aveva innescato la sua immaginazione,
riempiendola di storie. Aveva alimentato la sua curiosità.
Il venerdì era
una serata particolare per il lavoro di Luca. Le strade erano sempre molto
frequentate da compagnie di giovani, da coppie e da adulti che si godevano la
fine della settimana lavorativa. Era necessario prestare più attenzione a
quello che succedeva, moltiplicare gli sforzi, metterci un occhio in più,
insomma. Ma il venerdì era speciale perché Luca attendeva l’apparire della
ragazza che come sempre arrivava da quell’angolo, dove un lampione la
illuminava brevemente.
Ogni volta,
mentre passava sotto alla luce riusciva a cogliere un dettaglio, un particolare
che utilizzava per costruire e alimentare l’immagine che si era fatto della
ragazza.
Niente più di un
elemento in una frazione di secondo, ma era quello che Luca attendeva con
ansia.
Di lei aveva
capito che era puntuale e abitudinaria, dallo stile ben definito, ma
probabilmente fragile.
Troppo spesso
camminava a testa bassa per strada, quasi sperando che nessuno la notasse.
Chissà quali
erano i suoi pensieri.
Quel venerdì, il
venticinquesimo, di lei non si era vista traccia. Potrebbe essergli sfuggita,
con tutta la gente che affolla il Corso.
Ma Luca era
preoccupato.
Lunedì mattina
si era seduto alla sua postazione, di fronte ai nove monitor, ad osservare la
strada, nella speranza di vederla.
Quando eccola
scendere dalla prima corsa del tram e dirigersi verso casa, o per lo meno
prendere la strada che Luca credeva fosse la strada per casa. Appariva stanca,
molto stanca. Avrebbe voluto correre in strada ed aiutarla con quella valigia,
dirle:
Sono qui, se hai
bisogno!
Era tempo di
agire.
Durante le
giornate aveva iniziato a frequentare la zona, passando tra bar e ristoranti,
cercandola tra i clienti, senza successo. Aveva provato allora a fermarsi in
guardiola un po' di più al mattino e ad arrivare prima alla sera, nei classici
orari di punta lavorativi, e a muoversi nella zona degli uffici e delle
aziende, ma anche in questo caso, senza risultato.
Ed era già
giovedì. Non poteva aspettare un’altra settimana, un senso di urgenza lo
spingeva, lo muoveva, anche se non ne capiva il motivo. Voleva seguire questo
istinto e provare ad intercettarla, non aveva molto da perdere ormai.
Nel pomeriggio,
mentre camminava su e giù nel suo appartamento alla ricerca di un’idea, aveva
deciso di scrivere un biglietto e di attaccarlo a quel lampione che gli
regalava i piccoli dettagli della ragazza.
Quella sera gli
occhi erano puntati, incollati, sullo schermo numero 3, mentre sperava non ci
fossero distrazioni o falsi allarmi. Non poteva perdersi un secondo della
scena. La vide svoltare l’angolo, sempre a testa bassa, e proseguire per la sua
solita strada, fermarsi e alzare la testa, guardarsi sopra la spalla e tornare
indietro per leggere quel foglietto sul lampione.
«Alla ragazza
con la valigia.»
Si era guardata
intorno. Aveva preso il foglietto e si era allontanata, leggendolo mentre
cammina.
«Ogni settimana
ti vedo camminare sul Corso dalle telecamere di sorveglianza, lavoro qui, non
sono un guardone. Sento che devo conoscerti. Non so spiegare il perché, e non
ho trovato nessun altro modo per avvicinarmi a te. Ti lascio la mia mail, mi
farebbe piacere se mi scrivessi. lucam8@mimi.com.»
L’aveva vista
mettersi il foglietto in tasca e rivolgere lo sguardo in alto, verso le
telecamere, come a chiedersi chi la stesse guardando.
L’obiettivo è
stato raggiunto, ora inizia la vera sfida.
Mentre la
guardava dal monitor numero 5, l’immagine sembrava sfocata, come se fosse
possibile vedere dei dettagli, ma mai cogliere la figura intera.
Che strano, devo
ricontrollare il fuoco della telecamera.
Poco dopo
l’aveva vista salire sul tram e andarsene.
Lunedì mattina,
puntuale come sempre, la ragazza aveva appoggiato la valigia giù dal tram e con
un foglietto in mano si era incamminata. Arrivata all’angolo, aveva alzato la
testa e indicato il foglietto che stava per attaccare al lampione e con un
cenno di saluto se ne era andata.
Alle 6.01 Luca
stava correndo per strada, verso il lampione, per recuperare il messaggio della
ragazza.
«Ti scriverò.
Grazie.»
Mentre voltava
il foglietto per vedere se c’era scritto qualcos’altro, si era soffermato sulla
calligrafia della ragazza, piccola e precisa, con uno stile molto particolare.
Come se provenisse da un libro del Rinascimento.
Mi scriverà, non
mi sembra male come risultato.
Così, si era
diretto verso casa con uno spirito nuovo e con la speranza di poter conoscere
davvero quella ragazza.
Si era messo a
letto per dormire, ma il sonno faticava ad arrivare. L’adrenalina dell’attesa
di quella mail era come una droga. Alla fine, la stanchezza lo vinse e si addormentò.
Appena sveglio,
per prima cosa accese il telefono per controllare le mail, in modo compulsivo,
un aggiornamento, due, tre, ma non arrivava nulla.
Ha detto che mi
avrebbe scritto e lo farà, magari non oggi, sarà domani. Credo.
Passarono così altre
ventiquattro ore. Luca aveva svolto il suo turno di lavoro, era rientrato a
casa e si era riposato, in quella routine che lo guidava da ormai sei mesi.
Durante il
pranzo, una notifica era apparsa sul suo telefono: una nuova mail in entrata,
da un indirizzo a lui sconosciuto.
«Buongiorno
Luca, dall’indirizzo mail credo sia questo il tuo nome. Il tuo messaggio mi ha
lasciata particolarmente sorpresa. Prova a spiegarmi qualcosa in più per farmi
capire la situazione. È abbastanza strano anche per me. Vanora.»
Vanora? Un nome
non comune, dalla risonanza antica, però molto particolare, come la ragazza che
lo porta. O almeno così sembrava a Luca.
Mi ha scritto
davvero!
Anche
l’indirizzo mail era particolare dawnlights@dex.to; luci dell’alba. Il mistero
si faceva sempre più fitto.
«Ciao Vanora.
Hai un nome molto particolare, ma quasi me lo aspettavo. Mi chiamo Luca,
esatto, e lavoro nell’ufficio sicurezza; mi occupo della sorveglianza notturna
del quartiere. Ho iniziato a lavorare sei mesi fa. Ti ho subito notata, questo
davvero non so spiegare perché. In questi mesi credo di aver iniziato a
conoscerti e capirti, dal modo in cui ti muovi per strada penso di sapere quale
sia il tuo umore.
Ma vorrei
conoscerti davvero, attraverso le tue parole e non attraverso le mie
sensazioni. Buona serata. Luca.»
Vanora era
rimasta spiazzata dal bigliettino prima e dalla mail dopo, come era possibile
che Luca l’avesse notata tramite le telecamere di sicurezza?
Erano anni,
troppi ormai, che manteneva un basso profilo, cercando di non farsi notare
dalla gente se non per sbrigare le faccende quotidiane.
È davvero
strano. Devo capirci di più.
Per ora, le mail
non credo possano creare particolari difficoltà, ma devo comunque stare
attenta.
«Salve Luca, le
tue parole mi lusingano da un lato, ma dall’altro mi fanno pensare che
nonostante io provi ad essere particolare ed unica sono più prevedibile di
quello che pensi. Mi hai anche incuriosito: cosa hai notato di me? Perché credi
di conoscermi, non ci siamo mai incontrati?»
Vanora voleva
delle risposte e cercava di sollecitarle. Non avrebbe dovuto essere possibile
comprendere i suoi stati d’animo eppure lui affermava di riuscirci. Oppure
davvero negli anni si era indebolita?
Luca si stava
preparando per andare al lavoro. Quando lesse la mail della ragazza restò
spiazzato:
Questo non me
l’aspettavo, la facevo molto più timida … invece è molto diretta.
Il cuore aveva
iniziato a battere forte; la voglia di conoscerla era aumentata; desiderava
davvero poterla capire. Era una sensazione strana, inspiegabile, ma era come se
dentro di sé ci fosse un filo che lo strattonava e lo spingeva in quella
direzione.
«Sei una ragazza
abbastanza particolare rispetto alla media delle cittadine. Tra tacchi, vestiti
e minigonne direi che ti distingui abbastanza. Ma non ti ho mai visto
sufficientemente bene da capire se sei una fashion addicted! J Non so se ti
conosco, ma quando ti vedo passare mi pare di capire come stai, se sei allegra
o triste, se ti hanno fatto arrabbiare. Forse sono solo intuitivo, anche se
questo è molto strano per un uomo, non credi?»
Ad ogni parola
che scriveva, Luca sentiva che il filo si accorciava, che lo portava sempre più
vicino alla ragazza, alla risoluzione del mistero.
Quindi non mi ha
visto! Probabilmente ha un’immagine sfocata di me, come di un fantasma che
trascina una valigia!
I due
continuarono a scambiarsi mail e a raccontarsi, sentendosi sempre più vicini.
Lo schermo, del
computer o dei monitor di sicurezza, continuava a dividerli, ma non era una
barriera, era un modo per poter vedere l’altro senza cadere negli inganni della
timidezza, dell’avventatezza e della paura.
E per ora ad
entrambi sembrava l’unico modo possibile.
Le mail
aumentavano di giorno in giorno, fino a diventare quasi dei messaggi
istantanei, riposte immediate, un modo per confrontarsi sugli avvenimenti
quotidiani.
Leggendo
l’ultima mail, un sorriso aveva illuminato il volto di lei, una sensazione di
benessere che da troppo tempo non provava, la voglia di raccontarsi e di essere
sé stessa, finalmente, senza costruire maschere.
Ma sarà sicuro?
Era davvero tanto che non sentiva qualcosa di simile, la volontà di abbattere
qualche barriera.
Venerdì, mentre
svoltava l’angolo per andare alla fermata del tram, Vanora aveva guardato verso
la telecamera e aveva salutato, un cenno lieve della mano, timido ma deciso.
Ti ho visto,
buon viaggio!
Come se lei
avesse potuto sentirlo.
Camminava
tranquilla quella sera, le spalle leggermente più dritte.
Stai molto bene!
«Stavi molto
bene ieri sera. Grazie per il saluto.»
«Vorrei dirti
tante altre cose ma non lo farò, non ora, non ancora.»
«Se vuoi
conoscere qualcosa di me, vai in libreria e compra un libro di J. Fresher, mi
trovi lì. Sono io a scrivere quei libri e lì dentro trovi parte della mia
vita.»
«Per ora non
posso dirti di più, non capiresti, e ti farei solo male.»
«Tu saresti il
fantasma o la dama?»
«Forse
entrambi!»
«Non so come
spiegarmi questa cosa. Ogni volta che ti vedo sembri sfocata, ma non puoi
essere un fantasma. Non so di fantasmi che scrivono mail e libri. Certo sarebbe
una scoperta eccezionale e, sinceramente, sarebbe una figata.»
«Mettiamola
così, non sono un fantasma. Credo di essere abbastanza reale.»
«Quindi sei la
dama.»
«Così pare.»
«Certo le
avventure della dama sono molto realistiche, come se tu le avessi davvero
vissute per poterle raccontare in questo modo così forte e toccante.»
«Le ho vissute
davvero.»
«Wow, beh sei
molto brava a contestualizzarle nel Rinascimento. I romanzi storici solitamente
sono più storie messe nel passato che situazioni passate raccontate. Devi avere
studiato molto.»
«Non studio
molto.»
Dovrei dirglielo
ora, altrimenti non lo farò mai, penso possa capire. Ma non sono ancora pronta
a mostrarmi per quella che sono, ad essere me stessa di fronte ad un’altra
persona.
«Ma vado alla
ricerca di storie, non leggende, fatti realmente accaduti, sulle cronache delle
diverse Città. Cerco personaggi da poter utilizzare nei miei romanzi.»
Appassionata da
sempre di storia, amante della lettura e della scrittura, aveva iniziato a
scrivere qualche racconto, poi un romanzo, un best seller e alla fine era
diventata un’autrice di fama internazionale, con alle spalle almeno 20 libri
premiati da pubblico e critica. Nei suoi romanzi i personaggi storici, Ludovico
il Moro, Lorenzo dè Medici, Maria Antonietta e molti altri sembravano prendere
vita, attraverso avventure e situazioni molto vicini alla realtà. Le storie
erano ritenute molto particolari perché i protagonisti provenienti dal passato
si ritrovavano coinvolti in eventi moderni, creando un’originale fusione.
«È dove vai ogni
weekend, giusto?»
«Si, sto girando
l’Italia, le principali Città in cui durante il Rinascimento era più forte la
presenza di artisti, ma anche cittadine in cui sono presenti le credenze degli
antichi villaggi su cui sono state fondate. Negli ultimi anni mi sto dedicando
alle maledizioni e ai modi per annullarle. Ma è una ricerca molto difficoltosa,
soprattutto perché le streghe sono sempre state considerate il male e qualsiasi
cosa sia stata scritta da loro è andata persa.»
«Hai trovato
qualche maledizione particolare? Qualcosa che non sia già visto e rivisto? Che
non sia legato a pozioni d’amore, trasformazioni in animali o simili?»
«Sto studiando
una maledizione che non fa invecchiare. Che regala l’eterna giovinezza, ma
senza felicità perché toglie il contatto con le persone. Non permette le
relazioni, le affezioni, lascia completamente soli per la paura di far male
alle persone a cui si vuole bene.»
«Sembra
terribile.»
«Lo è!»
Vanora, leggeva
l’ultimo scambio di mail con il ragazzo, il mento appoggiato sulla mano e lo
sguardo assorto nello schermo del pc, leggendo altre parole tra le righe.
Aveva deciso di
prendersi qualche giorno di pausa, per fare delle ricerche sull’Occhio
Interiore. Si era avvicinata al personaggio di Tiresia e aveva programmato il
suo fine settimana per studiare alla Biblioteca Alagoniana. Dall’aeroporto era
arrivata in centro città con un taxi e da lì si era spostata a piedi, godendosi
le bellezze e respirando la storia. Le sembrava di sentire profumi ormai
perduti da tempo, profumi di tempi antichi, di avvenimenti importanti riportati
nei libri, quei libri da cui era sempre stata affascinata. Arrivata alla
biblioteca, aveva trovato diversi volumi antichi e preziosi che parlavano del
mito di Tiresia, sia del cambio di genere che della sua cecità. Non vedere
aveva portato allo sviluppo degli altri sensi, oltre al “dono degli dei” della
preveggenza. Era possibile tradurlo nel sesto senso, nella capacità di
conoscere realtà che non sono visibili a tutti. Probabilmente era questo il
talento di Luca: era in grado di leggere alcuni segnali e trasmetterli in
immagini complete.
Mentre camminava
sul Lungomare e si godeva la brezza marina, Vanora rileggeva sullo smart
l’ultima mail del ragazzo, senza trovare le parole per potergli rispondere, una
delle poche volte nella sua vita.
«Mi hai visto
diverse volte, sapresti descrivere il mio aspetto? Come sono?»
«Non sono in
grado di descriverti, ogni volta è come se ti vedessi sfocata, non definita. Ma
penso di sapere come sei fatta. Una sorta di intuizione.»
L’Occhio
interiore? Una delle piste per risolvere la maledizione parlava di un uomo
capace di vedere ma non con gli occhi, che possa davvero essere lui?
«Dimmi allora.»
«Fisico
asciutto, capelli corti ricci castani che porti spettinati, occhi verdi, di un
verde intenso, bocca piccola. Quanto vicino ci sono andato?»
«Troppo vicino.
Direi quasi perfetto.»
«È come ti
immagino quando chiudo gli occhi.»
Vanora era
davvero stupita, la descrizione era decisamente troppo vicino alla realtà e il
ragazzo intuiva delle cose che non era possibile sapesse.
Potrebbe essere
lui la risposta alla maledizione? Ma come?
«Hey, Vanora, va
tutto bene? Ti ho vista tornare lunedì mattina e mi sembravi molto preoccupata.
Se vuoi parlarne, sono qui.»
Preoccupata non
era un aggettivo sufficiente, le spalle curve, i piedi strascicati e la valigia
trascinata facevano pensare ad un enorme peso da portare. E da qualche giorno
non gli scriveva, come se volesse isolarsi dal mondo, ancora e ancora, per
sempre.
«Sei una donna
forte, puoi superare tutto quello che ti si presenta.»
«Perché mi vuoi
aiutare? Perché ti senti legato a me?»
«Non lo so
spiegare, come quasi tutte le cose che ti riguardano, non so spiegare quasi
nulla in effetti. È come se fossi la mia missione, qualcosa da risolvere per
poter andare avanti. Come quando ti fissi su un indovinello e non pensi ad
altro. Ti capita mai?»
«Mi è capitato
solo una volta, ed era amore.»
«Non sono
innamorato di te, sono più affascinato dal tuo mistero.»
«Non ti
permetterò di innamorarti di me, ti faresti solo male e me ne farei anche io.
Non so se riuscirei a sopportarlo.»
«Siamo e saremo
solo amici. Te lo prometto. Mai niente di più.»
«Bene, perché in
qualche modo le ricerche che ho fatto, mi riportano a te. Anche tu sei un
mistero, ma rispetto a tutti quelli che ho conosciuto, nei libri e nella
realtà, sei il più piacevole J”.»
«Non so se
prenderlo come un complimento o meno. Vuoi raccontarmi qualcosa?»
Per quanto la
ragazza sembrasse davvero strana, senza dimenticare che appariva sempre sfocata
alla vista, la sua capacità narrativa ed immaginativa era molto forte. Luca si
sentiva attratto da lei, non ne era innamorato ma non escludeva che con il
tempo avrebbe potuto amarla, le radici si stavano già fissando attorno al suo
cuore.
Vanora aveva
raccontato a Luca delle sue scoperte su Tiresia, l’Occhio interiore e la
preveggenza. Riusciva quasi a sentire le risate del ragazzo dall’altro lato
dello schermo, sentendosi definire un indovino. Anche lei aveva sviluppato un
certo legame nei confronti di Luca, chiudendo gli occhi ne vedeva il volto ed
era in grado di percepirne la voce e i movimenti. Forse si stava avvicinando
troppo a lui, forse era lei che si stava innamorando? L’amore non era previsto.
Poteva sognarlo e viverlo solo attraverso i suoi romanzi e regalare ad altri le
emozioni tramite quelle pagine. Per lei era una storia chiusa definitivamente,
morta e sepolta (letteralmente!). Il suo sogno ora era la libertà.
«Non credo di
essere un indovino, anzi! Sto però riflettendo sul concetto di occhio
interiore… non potrebbe essere una presa di consapevolezza di sé, di quello che
puoi fare, una crescita personale? L’essere rimasti bloccati dentro sé stessi
per troppo tempo. Credo sia una cosa che vale anche per te, per questa tua vita
da ricercatrice. Prova ad essere altro, ad essere chi vorresti essere.»
La libertà!
Vorrei essere una ragazza come tutte le altre, al posto e al tempo giusto,
uscire con gli amici, innamorarmi, avere una famiglia e invecchiare. Studiare,
migliorare giorno dopo giorno e aiutare le persone. Essere libera di essere
questa persona.
Mentre la
consapevolezza delle sue potenzialità si faceva strada dentro di lei, nello
schermo la sua immagine appariva meno sfocata di prima. Lei riusciva a vedersi
riflessa nello specchio. L’espressione stupita la rendeva davvero buffa.
«Forse hai
ragione: è quella la strada. Credo che qualcosa stia cambiando. Grazie. Grazie
di tutto e di essermi amico.»
«Grazie della
tua fiducia.»
«Buona vita,
Luca.»
Luca non capiva,
perché dopo aver raggiunto un traguardo stava chiudendo il canale. Ma non se la
sentiva di chiedere, non ora, non quando lei forse era più determinata, più
sicura di sé stessa, quando poteva avere un futuro e non solo un lungo
presente.
Il venerdì sera
osservando il monitor numero 3 l’aveva vista passare, in perfetto orario, con
le spalle un po’ più dritte e l’atteggiamento di chi sta andando incontro al
mondo. Avvicinandosi al lampione all’angolo si era fermata e aveva lasciato una
busta. La sua immagine era più definita, ma a Luca sembrava di vederla meno
rispetto a prima.
Al termine del
turno Luca si era diretto alle scale, facendo tre gradini alla volta e correndo
al lampione. Aveva preso il messaggio e, ancora con il fiatone per la corsa, lo
aveva letto. La sua calligrafia piccola e antica, inconfondibile:
«Ciao Luca,
grazie per avermi aiutata, grazie per aver risolto il mistero. Questo viaggio
sarà l’ultimo e il primo, sarà un nuovo inizio. Non può essere qui. Mi
ritroverai nei libri. Addio Luca, amico mio.»
Il biglietto
sembrava bagnato e un po’ stropicciato come se fosse stato scritto da una mano
insicura. Vanora aveva pianto scrivendo quel biglietto, perché stava lasciando
una vita per iniziarne un’altra. Ma aveva trovato Luca e si era innamorata di
lui. Sapeva però che non poteva legarlo a sé.
Un trafiletto in
un libro su Tiresia riportava:
«Quando avrai
trovato l’occhio interiore e avrai rotto la maledizione, dovrai allontanarti da
lui per non coinvolgerlo nel tuo destino, o andrete entrambi a fondo.»
Rientrato nel
suo appartamento, Luca accese il pc, più per abitudine che per speranza.
Sapeva che lei
non gli aveva scritto e non lo avrebbe più fatto.
Un Bip lo
riportò alla realtà.
Una mail?
«Caro Luca, mi
hai donato il tuo cuore e la tua amicizia, ti devo una spiegazione.
Gli avvenimenti
che racconto nei miei libri li ho vissuti davvero, nel 1400. So che sembra
incredibile e probabilmente mi credi pazza, ma questa è la mia storia.»
No, non la
credeva pazza, le credeva in modo assoluto, molte cose si spiegavano ora, il
fascino, il mistero.
Ma, forse,
leggere la sua storia avrebbe reso più difficile lasciarla andare.
Il filo che lo
collegava a lei tirava e strattonava.
«Sono nata nel
1485 a Milano, quando regnava il Moro, in un palazzo non lontano dalla corte
degli Sforza. I miei genitori erano aristocratici, non molto importanti ma
amici intimi di Beatrice d’Este e per questo frequentavano spesso Ludovico.
Sono cresciuta con i figli del Moro, istruita con loro e con gli altri figli
degli aristocratici milanesi. Ho conosciuto gli artisti che frequentavano la
corte e perfino Lorenzo il Magnifico quando è stato a Milano. Poi ho conosciuto
un ragazzo, Francesco, e mi sono innamorata di lui, pronta a trasferirmi a
Firenze con lui per cercare fortuna. Ma quella che oggi chiameremmo la sua ex
mi ha denunciato come strega e allontanata dalla corte, dalla famiglia e da
tutti i miei amici. Francesco le ha creduto e l’ha sposata, mentre venivo
umiliata pubblicamente.
Lei, che era
davvero una strega, mi ha maledetto per averle rubato l’amore della sua vita.
“Sarai
condannata a vagare in questa Città, non solo fino alla fine dei tuoi giorni,
ma per i prossimi anni, decenni, secoli, fino all’eternità, finché la tua anima
non sparirà fino a diventare invisibile. Fino a diventare quello che ti meriti
di essere: invisibile!”
Non ho creduto
molto alla maledizione, ma quando ho smesso di invecchiare, mi sono trovata
condannata ad una vita nascosta, rinchiusa in questa gabbia, mentre tutti
crescevano e seguivano il proprio percorso.
Ho cercato per
anni qualcuno che potesse aiutarmi a trovare una soluzione, ho anche provato
diverse volte a togliermi la vita e ogni volta mi ritrovavo nel mio letto.»
Vanora si era
innamorata di Luca, ma aveva dovuto lasciarlo, per non condannarlo ad una
maledizione eterna, ad un presente infinito e senza futuro.
Ed era lì dietro
ad uno schermo sfocato, poco dopo avergli scritto la sua storia e aver in
questo modo spiegato la sua fuga.
Non era lo
schermo a non essere definito, ma i suoi occhi pieni di lacrime mentre scriveva
la loro storia, la storia di una ragazza con una valigia e di un ragazzo che
sarebbero stati per sempre divisi da uno schermo.
La ragazza con la valigia è un racconto di Aurora Zappa
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