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GUIDO CORTESE
UNA SCUFFIA CON LAMBERTO
Assolutamente non ricordo che
anno fosse.
Ricordo però che era Estate;
un’Estate normale, di quelle che si vedono sempre più di rado.
L’Estate normale era
caratterizzata da un’area di alta pressione che stazionava per giorni (da 3 a
7) sul medio Adriatico con venti in regime di brezza, che, per chi si svegliava
tardi, poteva sembrare Scirocco. Il periodo si concludeva quando, a fine
giornata, la brezza girava a Ostro e il giorno dopo a Libeccio; era l’annuncio
del temporale estivo e di un po’ di Maestrale; poi tutto ricominciava daccapo;
in tutta l’Estate ci toccavano circa da 5 a 9 temporali. Oggi, invece dei
temporali, contiamo le trombe d’aria.
Quell’anno a Civitanova Marche
si svolgeva il campionato italiano F.D. e la Stamura non poteva perdere
l’occasione di partecipare.
La barca migliore del circolo
era il Galetti di Geremia Vivani. Timonieri disponibili non mancavano, ma
Geremia scelse di affidare la sua barca a me, con la condizione che sulla barca
ci fosse anche il suo fedele collaboratore, Lamberto Giampieri. Sia Geremia che
Lamberto di anni ne avevano abbastanza da non poter reggere le fatiche di un
campionato (però partecipavano ancora alle zonali con il solo equipaggio che
raggiungeva i 120 anni in due); ma Lamberto non poteva rifiutarsi di fare
questo favore a Geremia (o di obbedire a un suo ordine; questo non lo sapremo
mai).
Non ricordo il piazzamento
delle prime 2 prove; ricordo che il primo giorno rompemmo una stecca (poco
male) e il secondo giorno si staccò un bozzello del genoa (a dimostrazione che
Lamberto di forza ne aveva ancora abbastanza).
Il terzo giorno ottenemmo un
buon piazzamento, anche se non ricordo esattamente quale, e tornavamo
allegramente a terra, ovviamente in andatura portante, visto che gli arrivi
sono sempre sadicamente di bolina.
Come tutti sanno, nelle andature
portanti fa più caldo che di bolina, specialmente d’estate; quindi decidemmo,
ognuno per suo conto e senza dire niente all’altro, di toglierci la
cerata.
Purtroppo, in quel momento il
vento (anche se era brezza) decise di offrirci una raffica: la barca cominciò
lentamente a sbandare, poi ad orzare e a sbandare sempre di più, mentre noi la
guardavamo, impotenti; Lamberto era seduto sopravvento e io ero in piedi
con la barra del timone tra le gambe; tutti e due però avevamo le braccia
dietro la schiena, saldamente impedite dentro le maniche delle rispettive
giacche a vento; di 4 mani che c’erano a bordo, non ce n’era una libera per
mollare la scotta della randa.
E finimmo a bagno.
Tutti sanno che Lamberto non
ha mai perso la pazienza; e non la perse nemmeno in quella occasione.
In modo quasi automatico ci
ritrovammo io a prua a tenere la barca al vento e Lamberto sotto la deriva,
pronto a prenderla per raddrizzare la barca; non so perché andò così e non al
contrario; forse l’abitudine o il fatto che io raggiunsi per primo la
possibilità di nuotare.
Qui è necessaria una
divagazione strutturale: A Galetti piacevano le cose eleganti; le morbide forme
delle sue coperte/doppio fondo fornivano una ottima resistenza torsionale ai
suoi scafi e una ottima spinta di galleggiamento in caso di scuffia, anche se
rendevano problematica l’installazione di attrezzature in coperta, perché la
parte di sotto era inaccessibile; in omaggio a questo criterio, per la deriva
non usava il classico e banale compensato marino, ma una elegante combinazione
di listelli verticali, alternativamente di legno chiaro e scuro, incollati tra
loro, sempre in senso verticale (intendo verticale a deriva abbassata,
ovviamente). L’idea non era stupida, perché le fibre del legno dei listelli erano
tutte verticali (e non in tutte le direzioni come nel compensato) e quindi la
resistenza alla flessione della deriva in bolina era superiore.
Peccato che noi ci siamo
rovesciati al gran lasco, con la deriva parzialmente sollevata e che quindi
usciva non perpendicolare allo scafo, ma in diagonale.
Quindi Lamberto, afferrando la
deriva, non ha afferrato l’estremità inferiore della stessa, ma il suo bordo
d’attacco; facendo forza sul bordo d’attacco non ha sottoposto a flessione le
fibre dei listelli, ma ha sottoposto a trazione la colla tra i listelli stessi;
come tutti sanno la colla tiene a taglio e non a trazione.
Lamberto si ritrovò con una
considerevole porzione della parte anteriore della deriva in mano, mentre la
barca era rimasta così com’era, rovesciata sul fianco.
Un’ispirazione angelica mi
impedì di mettermi a ridere; però non so cosa avrei dato per sapere cosa
passasse per la testa di Lamberto in quel momento: non aveva l’espressione di
uno incazzato, ma certamente si stava sentendo a disagio; alle recriminazioni
per aver accettato quell’avventura poco adatta alla sua età, si sommava il
disappunto per essere venuto meno alla consegna di custodire il bene di
Geremia; anzi proprio lui gliene aveva provocato un danno.
Non rimase a pensare più di
tanto, e molto rapidamente raddrizzò la barca; una mano sulla parte giusta e
sana della deriva e l’altra impegnata a riportare a casa la parte
staccata.
Una volta a terra non ci
furono commenti.
Geremia si dimostrò ancora una
volta il signore che è sempre stato e prima di sera aveva già comprato da Mario
Capio una deriva nuova (una delle tante usate che Capio aveva nel suo
bagaglio). La pagò la metà di quello che sarebbe stato anni dopo il mio primo
stipendio.
Non solo, ma il giorno dopo mi
ritrovai anche con un nuovo prodiere; un certo Franco Piaggesi, mai visto prima
e che non so quante volte fosse salito in barca prima di allora; credo che la
decisione sia stata presa da Lamberto e Geremia di comune accordo. Geremia avrà
pensato che ormai la sequenza dei danni doveva essere praticamente finita e che
non valeva più la pena di costringere ancora Lamberto a quel sacrificio;
Lamberto avrà certamente giocato il suo asso nella manica per ottenere il
permesso di sbarcare: “aho!, ma io ciò moje e fijoli!”
Il fato maligno volle che il
giorno dopo io e Franco, con la deriva nuova (non lascerò scritto truccata
come) arrivassimo secondi; anzi, saremmo dovuti arrivare primi, se io fossi
stato un po’ più astuto all’arrivo o se avessi avuto un prodiere più esperto; ma
questa è un’altra storia.
Una scuffia con Lamberto è un racconto di Guido Cortese
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