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ALESSANDRO GRIGNAFFINI
KAZISTANAI PODÀ
COLLINE DI ATENE
407 a.C.
AEROPAGO SOMMO TRIBUNALE DI ATENE
ACCUSATO: «Ora è il momento di festeggiare, di abbandonarsi alle sfrenate evoluzioni della danza, ascoltando le inebrianti armonie della musica. Questo è il momento di battere ritmicamente il piede, volteggiare nell’aria e liberare lo spirito dai vincoli e dalle catene. Cantare, ballare, abbracciarsi e darsi all’ebbrezza… Una nuova era sta per nascere e noi dovremmo renderle il doveroso omaggio. Invece mi trovo qui dinnanzi a voi a rispondere di accuse che ancora non riesco a mettere a fuoco. Ditemi, di grazia, quale crimine avrei commesso. Quali reati mi imputate con tanta determinazione?»
ACCUSATORE: «Ti è
stata rivolta un’accusa molto grave e sei stato chiamato a risponderne di
fronte a questo sommo collegio giudicante. Il crimine è stato commesso nella tua
veste di poeta e scrittore. Sei imputato di aver rappresentato gli dei con
scopi diversi da quelli professati. Mentre facevi ammissione di volerli
celebrare e rendere loro gli onori dovuti, in realtà li accreditavi di azioni
turpi e disdicevoli, ne evidenziavi aspetti ridicoli e vergognosi e li
oltraggiavi in tutte le forme che il tuo modesto estro ti consentiva. Le
fittizie celebrazioni che la tua mente contorta elaborava erano in realtà messe
a punto per gettare discredito e biasimo sulle divinità e per generare in chi
ti ascoltava e leggeva sdegno e riprovazione nei loro confronti. Sdegno e
riprovazione che invece si sono rivolti verso di te, che ora ti trovi nella
veste di colui che deve difendersi.»
ACCUSATO: «Queste
accuse nei miei confronti sono false e pretestuose. Io sono certo di aver dato
l’avvio a un nuovo corso degli eventi. Ero e sono convinto che sarei dovuto
essere riconosciuto e celebrato per l’innovatore che sono, come colui che ha
permesso all’uomo di guardare dentro se stesso e di scorgere nuovi e sconfinati
orizzonti. Questo è il momento di festeggiare, di lasciare che il dolce nettare
dell’uva scorra nelle nostre vene e ci conduca all’ebbrezza, foriera di
languide sensazioni di oblio. Liberiamoci dai pesanti fardelli e dalle catene del
passato, dai condizionamenti che ci opprimono e percuotiamo col piede il
terreno per inneggiare ai misteri della divinità in procinto di esserci
rivelati. I veli finalmente cadono e la verità sta per risplendere. È il
momento del trionfo della ragione e io sono uscito di casa per comunicarlo a
tutti. Dimentichiamoci del passato che ha oppresso le nostre menti e impoverito
la nostra intelligenza e rivolgiamo il pensiero, libero da preconcetti, verso
la nuova umanità.»
ACCUSATORE: «Tu
solo quindi possiedi questa verità? Da chi hai avuto questa rivelazione? Con
chi intendi condividerla e quale uso intendi farne?»
ACCUSATO: «Capisco
che per voi non è così facile intendere le mie parole e il mio pensiero. Voi
siete la stasi, io sono la risoluzione. Parlare a dei fossili è come gettare
parole nel vento. Io sono uscito di casa pronto a celebrare i misteri della
nuova divinità e a condividere questa immensa gioia con tutti voi, ma vedo che
la vostra mente è chiusa da un involucro impenetrabile dentro cui banchettano i
vermi della grettezza, dell’ottusità, del rancore e dell’invidia. La follia,
priva di immaginazione, permea il vostro pensiero e condiziona il vostro
comportamento.»
ACCUSATORE: «Una
ben delirante concezione è questa che ci presenti. Accusi noi di follia, tu che
ai nostri occhi manifesti tutti i connotati della pazzia. Hai offeso gli dei,
li hai ingiuriati, hai detto di loro cose abominevoli, ti sei macchiato del più
grave dei crimini l’empietà. Hai peccato di superbia ritenendoti addirittura
superiore a loro, hai infangato il loro nome facendo sfoggio di irriverenza nei
loro riguardi.
Tu sei un empio,
un blasfemo, un negatore della divinità, un ateo!!!»
ACCUSATO: «Stolti
che non siete altro! Io non sono un ateo, sono un cercatore di DIO!» Quello
stesso Dio che voi cercate di ridicolizzare facendogli assumere sembianze e
comportamenti antropomorfi. Se qualcuno qui deve essere tacciato di irriverenza
e blasfemia nei confronti della divinità costoro siete voi e non io.
ACCUSATORE: «Se le
cose stanno come tu dici, ma questa è una mera ipotesi, raccontaci come e dove
hai trovato questo tuo Dio, che come sembra è del tutto personale e diverso dai
nostri.»
ACCUSATO: «Se mi
lascerete parlare, senza interrompermi, cercherò di rispondere a questa vostra
domanda anche se mi si presenta un compito assai arduo. È molto difficile,
infatti presentare i propri ragionamenti e le proprie convinzioni a una giuria
che qui mi ha trascinato con un’accusa di empietà. Una giuria che all’interno
della propria mente ha già deciso la mia colpevolezza. Esiste infatti la
concreta possibilità che dopo aver esposto il mio pensiero si consolidi in voi
l’accusa che già avete formulato. Può infatti un teorema essere confutato da un
altro teorema? Un assioma da ciò che assioma non è? Se io adesso per ipotesi vi
dicessi che il teorema di Pitagora che, a giudizio di molti se non di tutti, è
considerato avere un valore universale, potrebbe essere valido in un frammento
di realtà molto circoscritto e perdere invece la sua validità in un sistema molto
più universale, ove il visone supera gli attuali ristretti confini e il
pensiero si libera privo di vincoli, vi consolidereste certamente nell’idea che
io sia un folle. Immaginiamo pertanto se io esponessi la mia visione critica
per quanto riguarda le divinità oggetto del vostro culto. Ritenendo a tal punto
ogni mio ulteriore tentativo di spiegarmi vano, aggiungerò soltanto che io
arrivo perfino ad accettarle, ma esclusivamente in un contesto parziale
dell’infinita complessità dell’esistente.
ACCUSATORE: «Stai
forse insinuando che Zeus e tutti coloro che lo hanno preceduto nell’immensa
cosmologia dell’universo, sono come marionette manovrate da un burattinaio? Ho
inteso bene il tuo pensiero? Ho giustamente interpretato quanto hai appena
affermato?
ACCUSATO: «Sono
stupito, ma per onestà intellettuale nei tuoi confronti e verso tutti coloro
che ci stanno a sentire, debbo ammettere che hai fornito un’immagine abbastanza
realistica di quello che penso. L’universo così come noi lo conosciamo non è
statico, ma è in continuo divenire. Tutto cambia e tutto scorre, come già
affermò il saggio Eraclito. Nelle pieghe di quello che noi definiamo tempo,
ogni cosa muta prima o poi il proprio aspetto. Quello che noi oggi consideriamo
lecito e doveroso, con l’evolversi degli anni e delle stagioni, con il
tramontare dei regni e degli imperi, nel fluire inesorabile del flusso del
tempo può diventare addirittura l’opposto, illegale e oggetto di riprovazione
unanime. Anche ciò che è scritto sulla pietra è prima o poi destinato a
diventare polvere. Il “panta rei”, però, non ha solo implicazioni morali e di
legge, questo è solo un aspetto parziale del fenomeno, quello più facilmente
intuibile nel breve arco temporale che la nostra immaginazione è in grado di
valutare. Il “panta rei” è il divenire infinito della materia e dello spirito è
la metamorfosi che sta alla base dell’intero universo. Dentro di essi troviamo
anche quegli stessi dei che voi onorate e rispettate. Altri popoli e altri
regni riconoscono e venerano divinità diverse, ma altrettanto degne di culto.
Non sono qui per insegnarvi a disprezzarle e a negarle, ma solamente perché
possiate aprire gli occhi e riconoscerle per quello che sono.
ACCUSATORE:
«Quindi il “panta rei” è Dio, l’unica vera divinità che tutto comprende, tutto
crea, tutto distrugge, tutto trasforma, se ben ho capito il tuo pensiero. Noi,
come conseguenza dovremmo venerare un cambiamento senza fine. A questa
metamorfosi perenne dovremmo erigere templi e scolpire statue?»
ACCUSATO: «Non è
una divinità che pretende nulla dall' uomo e pertanto non necessita di luoghi
di culto e di riti propiziatori, ma solo di essere riconosciuta come tale per
renderci migliore il processo esistenziale. La sua accettazione come l’unica
vera forza operante dell’universo dispone il nostro animo alla felicità e alla
sua condivisione coi nostri simili. Nelle sfrenate evoluzioni della danza e
nella dolce ebbrezza generata dal succo della vite, siamo in grado di percepire
l’eterno fluire della materia nel tempo.
ACCUSATORE: «Da
qui si può quindi legittimamente trarre la conclusione che l’accettazione di
quanto tu affermi porterà l’uomo a ubriacarsi e a danzare perennemente
scordandosi del lavoro, dei propri impegni e dei doveri nei confronti dei suoi
simili. Tutto sarà lecito e qualsiasi atteggiamento approvato. Anche il furto,
il tradimento e l’omicidio saranno tollerati come manifestazioni particolari
della trasformazione. Questo dunque è la società e il mondo che tu vagheggi?
Questo è ciò che tu hai da proporci?
ACCUSATO: «L’uomo
deve tendere alla verità. La verità lo rende libero. La libertà porta alla
felicità. Chi possiede la felicità ha un solo scopo: condividerla coi propri
simili. Lo scopo di chi è felice è di trasferire la sua felicità ai propri
simili, ragione per cui ogni forma di ostilità nei confronti degli altri sarà
automaticamente soppressa e cancellata.
ACCUSATORE: «Quale
sarà il comportamento di coloro che non riconosceranno questa tua verità che tu
persegui con tanta determinazione?»
ACCUSATO: «Quello
di pronunciare una sentenza di morte nei miei confronti, come voi state per
fare.»
Kazistanai podà è un racconto di Alessandro Grignaffini
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