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FRANCO LO PRESTI
GUERRA
Nell’estate del
1943, annotano i libri di storia, truppe anglo americane furono paracadutate a
sud di Catania per garantirsi il transito su due ponti strategicamente
importanti: il Ponte dei Malati, sul fiume Lentini, circa 5 Km a nord
dell’omonima cittadina, ed il Ponte Primasole, sul fiume Simeto, che costituiva
l’ingresso più semplice e facile alla piana di Catania.
Il Ponte dei
Malati fu conquistato in seguito ad una cruenta battaglia contro le forze
tedesche che si svolse proprio attorno a Lentini, il 14 luglio dello stesso
anno, durante la quale il paese fu messo in ginocchio da violenti bombardamenti
che distrussero case, campi ed agrumeti.
Per la popolazione
del posto, che viveva (e vive tuttora) d’agricoltura, quello fu uno dei momenti
più brutti e dolorosi di tutta la guerra.
Ma la gente reagì
con coraggio e dignità, riprendendo il lavoro nei campi, risistemando gli
agrumeti, seminando il grano ed effettuando tutte quelle riparazioni agli
edifici che la guerra aveva provocato.
Cominciò così per
il paese un periodo d’intensa attività; ma non tutti avevano le stesse
possibilità di vita.
Coloro che avevano
un campo proprio, lo coltivavano, vendevano i prodotti e riuscivano a sbarcare
il lunario, quelli che possedevano del denaro, affittavano un campo per
lavorarlo, prendere i frutti e ricavarne i mezzi di sostentamento; ma tutti gli
altri si trovavano in serie difficoltà, perché il lavoro, per conto di terzi,
scarseggiava.
Alcuni
anni prima
Qualche tempo
prima dei fatti sopra descritti, attorno al 1940, Pippo Musumeci, un uomo di
circa quaranta anni, dichiarato inabile al servizio militare a causa di una
macchia ad un occhio dal quale la visione risultava offuscata, dopo aver
lavorato per conto terzi, aveva pensato di prendere in affitto un terreno e
coltivarlo in proprio.
La cosa non era
tanto semplice perché, già allora, chi aveva un terreno lo teneva per sé.
Ma un giorno di
quello stesso anno, gli si presentò un’occasione: un suo zio, ormai anziano,
voleva affittare il suo campo.
Pippo colse
l’occasione al volo, ne parlò con Francesco, suo fratello di cinque anni più
giovane, ed insieme decisero di prenderlo in affitto.
Stipularono così
un contratto, concordando che avrebbero pagato un canone annuale a conclusione
di ogni raccolto.
Si trattava di un
appezzamento di terreno arido e sassoso, per lo più ricoperto d’erbacce, che
era adoperato dal proprietario prevalentemente per il pascolo delle pecore e
delle capre.
Pippo e Francesco
erano consapevoli che da quel terreno non si sarebbe riuscito a guadagnare
molto, ma vollero provare lo stesso perché la fatica non li spaventava e,
inoltre, cosa più importante, avevano un urgente bisogno di portare a casa un
po’ di denaro.
Concluso
l’accordo, i due fratelli, si misero di buona lena a lavorare: sarchiando,
zappando, dissodando, concimando e scavando quel campo per togliervi il maggior
numero di sassi e renderlo il più fertile possibile.
Avevano fatto un
buon lavoro ed avevano seminato diversi tipi di ortaggi: pomodori, peperoni,
melenzane, riservando una buona parte del terreno alla coltivazione delle
angurie, un tipo di coltura che non richiedeva tempi lunghi, né cure
particolari.
Dopo il faticoso
lavoro iniziale, le cose cominciarono ad andare discretamente ed i due uomini
erano abbastanza contenti perché con il ricavato riuscivano a pagare l’affitto
e guadagnare qualcosa per le loro famiglie.
Quando il 14
luglio 1943 avvennero le incursioni delle forze alleate sul ponte dei Malati, i
due fratelli avevano perso ogni speranza, temendo che i bombardamenti avessero
distrutto tutto. Fortunatamente, si accorsero che i danni erano stati lievi:
solo la casetta in cui tenevano gli attrezzi di lavoro era crollata. I due
uomini la ripararono subito, poi ripresero a lavorare nel campo con più vigore
di prima.
Arrivavano intanto
notizie che sul Ponte Primasole gli sbarchi erano stati un mezzo fallimento
perché i piloti degli aerei da trasporto avevano sbagliato il lancio dei
paracadutisti e li avevano disseminati in un territorio compreso tra le
province di Catania e Siracusa, anche se poi il ponte venne lo stesso
conquistato.
Questi soldati,
per la gente del posto, rappresentavano una mina vacante, non potendo
prevedere, dicevano, la reazione di militari dispersi, in genere stanchi ed
affamati e, pertanto, disposti a tutto.
Qualche mese dopo
e, precisamente il 18 agosto 1943, si venne a sapere che i tedeschi si erano
ritirati sul Continente, cessando in Sicilia ogni ostilità.
Tutti esultarono a
questa notizia e l’eventuale presenza di militari inglesi dispersi sul
territorio, prima temuta, non destò più alcuna preoccupazione, in quanto gli
anglo americani furono ormai considerati i liberatori della popolazione che
sperava con il loro aiuto, di liberarsi del regime fascista.
Pippo e Francesco,
perciò, continuarono con fiducia nel loro lavoro, irrigando il campo in cui
erano cominciate a spuntare le prime pianticelle e a maturare i primi ortaggi,
attingendo l’acqua da un pozzo, per fortuna esistente nel terreno.
In poco tempo,
ortaggi ed angurie furono pronti per la raccolta.
I due fratelli
cominciarono a fare i primi calcoli, e si accorsero, con soddisfazione, che
anche quell’anno, con il raccolto avrebbero potuto realizzare un discreto
guadagno, giusto quello che serviva per far fronte alle loro esigenze più
imbellenti: affitto del terreno e bisogni essenziali delle famiglie.
Furono, però,
“castelli in aria”.
Infatti, qualche
giorno prima di iniziare la raccolta degli ortaggi e delle angurie che
sembravano più mature, accadde un episodio che Pippo e Francesco non avrebbero
mai dimenticato.
I due fratelli,
con altri contadini, appositamente ingaggiati per l’occasione, si trovavano in
campagna, quando ad un tratto videro, in lontananza, sollevarsi un certo
polverone: una colonna di camionette militari avanzava verso di loro.
Uno dei lavoranti
che possedeva un cannocchiale militare, guardò:
«Sembra che si
tratti di camionette tedesche» disse.
«Ma come» osservò
Francesco. «I tedeschi non si sono ritirati sul Continente?»
La cosa sorprese i
presenti e di certo non fece loro tanto piacere.
Pippo e Francesco,
per fortuna, non avevano niente da nascondere; perciò si tranquillizzarono e si
disposero all’attesa.
Dopo circa cinque
minuti, la colonna arrivò e si fermò proprio sul campo di Pippo e suo fratello.
Si trattava di un
gruppo di dieci o dodici soldati inglesi. La loro presenza tranquillizzò i
contadini che li accolsero benevolmente.
I militari
spiegarono che erano stati paracadutati, per errore nei dintorni di Priolo, una
cittadina del siracusano, ove si erano impossessati di quattro camionette
abbandonate da alcuni tedeschi in fuga e per circa un mese avevano vissuto
utilizzando le scorte alimentari che, fortunatamente, erano rimaste agganciate,
durante il lancio, a un paracadute, in loro possesso.
«Solo qualche
giorno fa» disse l’ufficiale che li comandava «siamo riusciti a metterci in
contatto con le truppe che si trovano ancora a Catania e adesso cerchiamo di
raggiungerle per unirci a loro.»
Aggiunse poi che
erano affamati e cercavano qualcosa da mangiare.
Pippo offrì loro
gentilmente del pane e formaggio di pecora che aveva nel capanno degli attrezzi
da lavoro.
I soldati si
rifocillarono, ma l’ufficiale, non contento dell’accoglienza, affermò che, per
esigenze militari, tutto il raccolto doveva essere requisito, assicurando però
che avrebbe pagato ogni cosa.
Ordinò quindi ai
suoi subalterni di raccogliere quanta più roba possibile per poi caricarla
nella camionetta vuota.
Pippo, che si era
in un primo tempo allarmato, cominciò a tranquillizzarsi e lo comunicò
sottovoce a suo fratello:
«Vuoi vedere che
una volta tanto la fortuna ci assiste. Forse riusciremo a vendere i nostri
prodotti senza neanche andare in cerca dell’acquirente! Probabilmente, dovremo
effettuare qualche sconto, ma non tutto è perduto.»
I suoi conti però
non si rivelarono esatti perché il risultato finale fu per loro una solenne
delusione.
La truppa,
infatti, terminò il lavoro e l’ufficiale, a saldo dei prodotti raccolti, fece
consegnare a Pippo due grosse scatole di gallette: i biscotti in loro
dotazione, con i ringraziamenti dei militari che andarono via salutando, ma
lasciando il campo in uno stato pietoso. Sembrava che vi fossero ritornate a
pascolare le pecore.
I soldati,
infatti, che non erano certo agricoltori, avevano distrutto le piantine,
rovinando gli ortaggi e vanificando tutto il lavoro fino allora realizzato.
Pippo, con gli
occhi bassi per l’umiliazione subita, diede al fratello una scatola di
gallette.
Francesco comprese
lo stato d’animo di Pippo e lo abbracciò per rincuorarlo; ma entrambi avevano le
lacrime agli occhi per la rabbia di non aver potuto reagire e per la
consapevolezza che tutto il loro lavoro era andato in fumo.
Quella stessa
sera, Pippo, affranto ed avvilito, ritornando a casa, depose la scatola di
biscotti sul tavolo, dicendo alla moglie:
«Ecco, questa
scatola è il ricavato della vendita degli ortaggi e delle angurie che abbiamo
seminato quest’anno; è il frutto di mesi di lavoro e di sacrifici. Un’altra
scatola uguale a questa, l’ha “guadagnata” mio fratello.»
Andò quindi a
letto senza neanche voler mangiare, affermando di non aver fame.
La moglie rimase
delusa e amareggiata, soprattutto nel vedere il marito in quello stato.
Soltanto Pina la
loro figlia, di circa sei anni, fu contenta.
Vedendo infatti i
biscotti, con la fame arretrata che aveva, cominciò a mangiarli di vero gusto,
esclamando:
«Sono veramente
buoni!»
Nella sua
incoscienza di bambina, non avevo capito la disperazione di suo padre e la
sensazione d’impotenza che, in quel momento, s’era impadronita di lui.
Ma la delusione
dei Pippo non si esaurì con l’umiliazione di aver portato a casa solo dei
biscotti.
Nel suo sconforto,
aveva, infatti, riposto fiducia nella bontà d’animo dello zio, sperando che
questi, per quell’anno, gli avrebbe praticato uno sconto particolare in
considerazione di quanto era successo, ma lo zio non volle sentire ragioni e
pretese l’intero canone pattuito.
«Eccezionalmente»
disse «potrò concedervi un pagamento rateale. Così, nel futuro al normale canone,
aggiungerete una rata, e nel giro di tre anni mi pagherete tutto.»
Guerra è un racconto di Franco Lo Presti
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