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SILVIA FAVARETTO
LA SIRENA BRUTTINA
foto
di pixabay
La sirena bruttina
aveva quindici anni e desiderava uscire dall’acqua: non per essersi innamorata
di qualche fascinoso esemplare d’uomo terrestre, ma per puro e semplice spirito
d’avventura.
Ebbene sì, era
bruttina, ma non le importava gran ché: aveva occhi grandi e intelligenti
(anche senza ciglia lunghe), aveva labbra sottili, ma che dicevano ogni volta
quello che pensava, le sue braccia avevano una lunghezza un po’ sproporzionata
rispetto a corpo e coda, ma ne era felice perché riusciva ad abbracciare senza
sforzo le sue sorelle. Le proporzioni sono sopravvalutate, pensava, circondando
le sue sorelle in un abbraccio d’addio.
Non era orfana:
aveva una sirena madre saggia e comprensiva, alla quale chiese un incantesimo
da strega per mutare la sua coda adornata di cicatrici e smagliature in gambe
forti e scattanti, pur mantenendo gli stessi segni del tempo, che lei
considerava come medaglie al valore. La strega-madre la rassicurò:
«Non serve alcun
artificio di magia, la coda basta srotolarla e sotto hai le gambe, qualsiasi
sirena può camminare ed uscire da qui, se solo lo vuole. Esattamente come le
donne terrestri possono entrare in acqua e nuotare.»
Dunque, senza
troppi patemi d’animo, perché sapeva di poter tornare fra le accoglienti acque
di sua madre e suo padre ogni volta che ne avesse avuto voglia, la sirena
scelse di partire per l’avventura, si srotolò la coda e uscì.
Risoluta a
camminare il più possibile e ad armarsi di conoscenza, infilò il primo viottolo
della città sul mare e muovendo i primi passi un po’ traballanti come un
piccolo cerbiatto appena nato, strada facendo diventò poi più veloce, sicura ed
esperta finché raggiunse la foresta.
Lì, vide una casa
linda ed ordinata, con sette nanetti che uscivano ed una bella donna che li
salutava dall’uscio.
Con pochi scambi
di parole se la intesero subito alla perfezione e la sirena bruttina fece
notare a Biancaneve che poteva fare cose più interessanti che fare la sguattera
a sette adulti incapaci di rassettare la propria dimora o che, quantomeno, avrebbe
potuto chiedere d’esser pagata.
Dopo vari giorni
di chiacchiere ed amicizia, quando sopraggiunse una vecchia portando un cesto
di lucide mele rosse, la sirena seduta sul divano di casa-nani fece presente
alla Biancaneve alla finestra, che già qualcuna delle loro ave si era
tremendamente pentita del morso dato allo stesso frutto che si trovava
nell’Eden.
«Quel frutto ha
già recato abbastanza danno al nostro genere, no, grazie, preferiamo i kiwi.»
Quando Biancaneve
fu messa in regola con le vacanze pagate, la sirena le diede appuntamento per i
suoi giorni di ferie e la avvolse nelle sue lunghe braccia (non esageriamo,
appena qualche centimetro più del normale!) e rimise in moto le sue gambette
segnate per andare incontro ad altre avventure.
Proseguendo nella
foresta incontrò la zona di caccia pullulante di lupi e, scorgendo una bambina
in mantella rossa le si avvicinò per metterla in guardia, non tanto dai lupi,
ma piuttosto dai cacciatori.
Le disse:
«Non devi avere
paura degli animali, ti si avvicinano, ti scrutano, ti annusano, poi quando li
tocchi e si strofinano su di te, è fatta.»
Le due ragazzine
sedute sul prato mangiavano i dolci del cestino, circondate da bestiole
scodinzolanti che si lasciavano accarezzare il pelo grigio.
Finita anche l’ultima
briciola e dopo aver riso forte assieme per storielle e barzellette, la sirena
disse addio a Cappuccetto e anche al branco di lupacchiotti, consapevole che la
nuova amica sarebbe stata scortata dal branco nelle parti più impervie del
tragitto, e che gli animali avrebbero saputo annusare nell’aria il puzzo dei
cacciatori, mettendola in salvo.
Cammina, cammina,
arrivò ad un’altra casetta che già stava facendo notte.
La casetta era
graziosa, costruita di dolci e marzapane.
La vecchietta che
vi abitava le aprì volentieri poiché erano appena arrivati anche Hansel e
Gretel e un posto in più a tavola si poteva facilmente aggiungere.
La signora anziana
era un po’ ansiosa, non era solita ricevere visite e la solitudine le aveva
fatto molto male, causandole incubi e manie di persecuzione. Mentre tutti
assieme mangiavano una deliziosa zuppa, la sirena parlò di come nel suo mondo
sottomarino le sirene anziane non venissero mai lasciate sole, in quanto la
comunità attribuiva grande valore alla loro esperienza e alla loro abilità nel
raccontare storie.
Allora la vecchina
abbandonò le smanie che da tempo la angosciavano e volle anche lei raccontare
una fiaba che piacque molto.
La sirenetta e i
due bimbi si addormentarono tranquilli e il giorno dopo ritornarono sulla
strada di casa ma ripromettendosi di tornare a trovare spesso la vecchina che,
dal canto suo, si sentiva felice e non vedeva l’ora che tornassero, e rientrò
in casa pensando di annotare nuove storie su di un quaderno.
La sirenetta,
salutati Hansel e Gretel ad un bivio, raggiunse dopo un paio d’ore di cammino,
un grande castello circondato da un villaggio.
Vicino ad un pozzo
aiutò una ragazza a caricarsi sulle spalle i secchi traboccanti. Aveva il
vestito sporco di cenere e le parlò di un ballo, al quale avrebbe voluto
andare, ma le sue sorellastre glielo impedivano.
La sirenetta prese
uno dei due secchi e accompagnò Cenerentola fino a casa.
Nel frattempo,
discussero assieme su cosa sarebbe avvenuto alla festa e su cosa si
aspettassero entrambe per il futuro.
Giunte all’uscio,
Cenerentola non era più così sicura di voler passare il resto della vita a
partecipare a cene di rappresentanza come moglie-oggetto di un nobile che
l’avrebbe scelta in sposa, come si sceglie un cavallo ad una fiera.
«Rinuncerò
volentieri, offrendo il Principe ad una delle mie sorellastre.»
La sirena se ne
andò da quella casa quando anche le sorellastre cominciarono ad aprire gli
occhi e nessuno più voleva andare al ballo, volevano tutte e quattro (matrigna
compresa) stare a casa a giocare a carte ed a strafogarsi di biscotti e
nutella.
Il castello del
villaggio era speculare ad un castello più lontano, su di una montagna che
cadeva a picco sul mare, sul suo mare.
Allora la sirena
pensò di recarsi lì come ultima tappa della sua vacanza, per poi ritornare alle
acque genitoriali, sapendo però di avere delle amiche da tornare a trovare e
che a loro volta avrebbero fatto un salto, di quando in quando, nel suo oceano.
Giunse al castello
montano e sentì le dicerie dei popolani sul fatto che fosse abitato da una
bestia.
La sirenetta
arrivò e conobbe la bestia.
La sirena non era
bella e non le importava, perciò non voleva nemmeno che fosse la bestia ad
essere bella o ad avere modi più gentili o un portamento regale.
In realtà non le
importava nemmeno di scoprire se la bestia fosse maschio o femmina, non aveva
nessuna importanza.
Scoprì nella sua
irruenza una immensa dolcezza, scoprì nella sua rabbia un immenso timore,
scoprì nella sua forza manifesta la celata necessità di essere compresa e
accarezzata.
E così fece,
accarezzò la bestia, la ascoltò, la rassicurò, la amò. Decise perciò, dopo aver
aiutato le sue sorelle e sperimentato il mondo acquatico e terreno, di restare
con la bestia, di ricevere spesso la visita delle amiche e di andare e venire
dal mare quando le fosse sembrato opportuno (anche la bestia imparò a nuotare).
E non vissero
sempre felici e contenti, perché la vita non è sempre facile, perciò ci vollero
sacrifici e compromessi, ma assieme e grazie anche all’appoggio degli altri, la
seppero affrontare.
La sirena bruttina è un racconto di Silvia Favaretto
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