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ANTONIO VENEZIA
LA CANTINA
foto pixabay
Ho sempre
avuto timore di quella cantina, non so bene perché.
Da piccolo,
ricordo che mio padre ci portava alcuni scatoloni pieni di cianfrusaglie che
non voleva mai buttare via. Eppure, nonostante adesso abbia la ragguardevole
età di trentadue anni, ho ancora paura di scendere là sotto.
Mio padre è
morto dieci anni fa e ne ho sofferto molto.
Era l’unica
persona che mi era rimasta al mondo, dopo che mia madre morì dandomi alla luce.
Ho provato dolore così tanto che sono dovuto andare in terapia da uno psicologo
per alcuni anni, mentre cercava di lavorare sulla mia mente per mantenerla in
equilibrio tra la realtà e la pazzia.
Adesso, però,
ho la mente abbastanza lucida da ricordare tutto per filo e per segno; e voglio
raccontarvi cosa è successo alcune notti fa.
Ormai vivo da
solo da tempo, perciò la solitudine è diventata una mia confidente, la mia
migliore amica. Il mio carattere schivo e poco socievole non mi permette di
relazionarmi con altri individui, senza fare distinzione di sesso o età diverse.
Passo la
maggior parte delle mie giornate in compagnia di un giradischi, ad ascoltare
vecchi pezzi degli anni Settanta, gli stessi che piacevano a mio padre. Li ho
ascoltati tante volte da piccolo che ormai sono parte di me, come un profumo
che riconosci subito e associ ad un determinato posto.
Me ne sto
sulla mia poltrona foderata di velluto, con una sigaretta in mano, ad ascoltare
quei vecchi dischi. Le mie giornate trascorrono sempre così, senza una meta ben
precisa da raggiungere, nell’isolamento totale. Forse, a causa di questo mio
comportamento sociopatico, posso affermare che il mio cervello non sia del
tutto sano, non come una persona comune almeno.
Ma non sono
pazzo e ciò che ho visto qualche notte fa, è terribile. Ansimo mentre
ripercorro con la mente ciò che successe.
Ero seduto
sulla mia solita sedia in salone e il giradischi stava suonando un pezzo
di Neil Young denominata Heart of Gold. Quella canzone mi
rilassa, da sempre. Fin da quando mio padre mi teneva sulle sue ginocchia e
cantava con me le strofe di quel rock perso nel tempo.
D’un tratto,
ho avvertito le assi del pavimento in legno tremare, come se ci fosse un terremoto.
Ho alzato gli
occhi al cielo per guardare il lampadario, ma era fermo, immobile nella sua
luminescenza fioca che rischiarava il soggiorno. Non poteva essere un
terremoto. Doveva essere “qualcosa” lì sotto. La stessa cosa che per anni mi ha
terrorizzato e mi ha isolato dal mondo, portando il mio equilibrio mentale a
vacillare più e più volte.
Là sotto c’è
il “male”, ne sono certo. Aspettate che ve lo racconti e mi crederete anche
voi.
La cantina è un raccontoo di Antonio Venezia
foto pixabay
Ho sempre
avuto timore di quella cantina, non so bene perché.
Da piccolo,
ricordo che mio padre ci portava alcuni scatoloni pieni di cianfrusaglie che
non voleva mai buttare via. Eppure, nonostante adesso abbia la ragguardevole
età di trentadue anni, ho ancora paura di scendere là sotto.
Mio padre è
morto dieci anni fa e ne ho sofferto molto.
Era l’unica
persona che mi era rimasta al mondo, dopo che mia madre morì dandomi alla luce.
Ho provato dolore così tanto che sono dovuto andare in terapia da uno psicologo
per alcuni anni, mentre cercava di lavorare sulla mia mente per mantenerla in
equilibrio tra la realtà e la pazzia.
Adesso, però,
ho la mente abbastanza lucida da ricordare tutto per filo e per segno; e voglio
raccontarvi cosa è successo alcune notti fa.
Ormai vivo da
solo da tempo, perciò la solitudine è diventata una mia confidente, la mia
migliore amica. Il mio carattere schivo e poco socievole non mi permette di
relazionarmi con altri individui, senza fare distinzione di sesso o età diverse.
Passo la
maggior parte delle mie giornate in compagnia di un giradischi, ad ascoltare
vecchi pezzi degli anni Settanta, gli stessi che piacevano a mio padre. Li ho
ascoltati tante volte da piccolo che ormai sono parte di me, come un profumo
che riconosci subito e associ ad un determinato posto.
Me ne sto
sulla mia poltrona foderata di velluto, con una sigaretta in mano, ad ascoltare
quei vecchi dischi. Le mie giornate trascorrono sempre così, senza una meta ben
precisa da raggiungere, nell’isolamento totale. Forse, a causa di questo mio
comportamento sociopatico, posso affermare che il mio cervello non sia del
tutto sano, non come una persona comune almeno.
Ma non sono
pazzo e ciò che ho visto qualche notte fa, è terribile. Ansimo mentre
ripercorro con la mente ciò che successe.
Ero seduto
sulla mia solita sedia in salone e il giradischi stava suonando un pezzo
di Neil Young denominata Heart of Gold. Quella canzone mi
rilassa, da sempre. Fin da quando mio padre mi teneva sulle sue ginocchia e
cantava con me le strofe di quel rock perso nel tempo.
D’un tratto,
ho avvertito le assi del pavimento in legno tremare, come se ci fosse un terremoto.
Ho alzato gli
occhi al cielo per guardare il lampadario, ma era fermo, immobile nella sua
luminescenza fioca che rischiarava il soggiorno. Non poteva essere un
terremoto. Doveva essere “qualcosa” lì sotto. La stessa cosa che per anni mi ha
terrorizzato e mi ha isolato dal mondo, portando il mio equilibrio mentale a
vacillare più e più volte.
Là sotto c’è
il “male”, ne sono certo. Aspettate che ve lo racconti e mi crederete anche
voi.
La cantina è un raccontoo di Antonio Venezia
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