Ixodida

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ANTONIO "KABANDHA" FADDA.
IXODIDA



                                                                           "Something grimly comic will then strike you
      about il, like a parasite feeding off
the misery of the world" (S. Lee)
                                                                                                                                                                                                                         
UNO



Lentamente aprì gli occhi, destato dalla carezza che una mano amorevole riversava sui suoi capelli arruffati. Di fronte a lui, il viso della sua dolce Cristina gli regalava uno di quei sorrisi incantevoli che tempo addietro lo avevano stregato e che ancora continuavano a farlo, nonostante il tempo trascorso.
‹‹Sono le sette, Dorin! É ora di alzarsi!›› mormorò, con voce delicata.
‹‹Ah, peccato!›› rispose lui ‹‹Avrei voluto restare ancora un po’ con te, per qualche coccola mattutina...››
‹‹Beh, se ti muovi, qualche minuto potresti anche prendertelo, se ti va...›› soggiunse lei, ammiccando per fargli capire che la cosa non l’avrebbe di certo disturbata.
Cogliendo l’invito al volo, senza aggiungere altro l’uomo la strinse tra le braccia e si abbandonò alla passione, baciando e accarezzando la sua compagna con tutto l’ardore che aveva in corpo.
C’erano stati tanti alti e bassi con Cristina, eppure in quei momenti tutta la dolcezza e l’affetto che provava per lei lo permeavano completamente, sicché ogni ombra di dissapori sembrava essere solo uno spettro sbiadito e superato.
La sveglia diede un altro trillo repentino, proprio nell’istante in cui il desiderio pareva culminare negli occhi e nei corpi di entrambi. Anche se di malavoglia, conscio del tempo contato, l’uomo si volse e pose fine alle effusioni.
‹‹Devo andare, mia cara! Potrai perdonarmi?›› sussurrò, corrucciato.
‹‹Mmm... non so!›› rispose lei, con un sorriso.
‹‹Ah Ah Ah! Spero di sì dai, se non ora saprò farmi perdonare stasera.››
‹‹Vedremo. Scrivimi dopo, ok?››
‹‹Lo farò, mia adorata!›› asserì, sbrigativamente, baciandole la fronte.
Senza più esitare si levò di scatto dal letto e, vestitosi di corsa, uscì dalla stanza da letto. Ciò che seguì, dal caffè e la preparazione fino al momento in cui salì sul suo fuoristrada nel parcheggio sul retro della palazzina, avvenne in appena pochi minuti e in uno stato quasi di coscienza automatica. Ogni singola azione del suo rituale quotidiano, dal momento in cui lasciava la sua stanza da letto fino al termine della mezz’ora di guida necessaria per raggiungere l’ufficio, avveniva in una routine tanto consolidata da lasciare un margine quasi inesistente a possibili variazioni sul tema. Anche i pensieri che gli baluginavano in mente, di solito si ripetevano nella stessa serie di argomenti e negli stessi intervalli: cinque minuti sulla sua vita, in generale una sorta di soliloquio di autocompiacimento; altri cinque minuti per un briefing generale di ciò che avrebbe dovuto aspettarsi dalla giornata di lavoro imminente, e infine gli ultimi venti minuti passati in un’alternanza tra bestemmie contro guidatori inetti sulla sua strada e momenti di pura e inerte apatia cerebrale.
Parcheggiata l’auto alla bene e meglio in mezzo all’imperante confusione delle strade del quartiere Pipera, entrò nel palazzo della compagnia e salì al decimo piano, immerso nei soliti pensieri che albergavano ogni giorno nella sua mente durante quelle operazioni. Diede un rapido “Neata[1] ai colleghi, più per pura circostanza che per reale interesse verso qualcuno di loro, e accese il computer, preparandosi a una nuova tornata di otto ore di bolle, fatture e e.mail amministrative. Una volta varcata la soglia dell’ufficio, tutto ciò che veniva a contatto con i suoi sensi o varcava la soglia della sua mente era soltanto materiale superficiale e ininfluente, che prontamente catalogava con altrettanta superficialità e ininfluenza sulla sua sfera personale. Non si poteva dire né che il lavoro gli piacesse, né che gli dispiacesse. In sé, ogni singolo istante di quelle otto ore di lavoro quotidiano che svolgeva erano solo un compromesso, una alienazione di tempo a cui volontariamente si sottoponeva da svariati anni al fine di ottenere l’unico effetto che realmente gli interessasse dal suo lavoro, ovvero lo stipendio. Sopportava pazientemente qualsiasi rovescio ed imprevisto, lavorandoci sopra con la massima sbrigatività possibile e senza curarsi se gli effetti del suo lavoro avrebbero avuto ripercussioni positive o meno sul benessere dell’azienda.
Tutto era sempre stato così, fin dal primo giorno in cui aveva cominciato a lavorare come semplice analista di dati, e si era mantenuto tale ogni qualvolta che gli si era presentata l’opportunità di dare la scalata alla compagnia, fino al ruolo di Executive Manager da poco guadagnato. Eppure, da qualche giorno qualcosa aveva improvvisamente creato una breccia nell’angolo di sicurezza della sua routine, costruito con sapiente impegno in anni e anni di lavoro. Luminita, la nuova Facilities assistant, era stata assegnata alla sua stessa zona, con giusto due/tre postazioni di distanza, e le cose tra i due erano andate in maniera alquanto bizzarra fin dall’inizio. Dorin aveva letteralmente perso la testa, mai in vita sua gli era parso di aver visto una bellezza così naturale, così travolgente. L’unica cosa che lo tratteneva dal fare una mossa più avanzata con lei era il contegno a cui la sua carica lo vincolava, un contegno che tuttavia, nonostante i notevoli tentativi di dissimulare qualsiasi possibile reazione emotiva, diveniva giorno dopo giorno sempre più stentato e inefficace agli occhi dell’ufficio intero. Ogni volta che i suoi occhi si posavano sulle labbra carnose di lei, sulle delicate linee del volto e dei lunghi capelli biondi sciolti, o ancor più sull’abbondante decolleté della ragazza o sulle cosce parzialmente coperte soltanto da una minigonna minimalista, ogni volta che questo accadeva la sua mente dimenticava la moglie a casa, i bambini, il suo ruolo in società. Ogni volta che Luminita era a portata di sguardo, tutto il resto della sua vita era offuscato in un solo colpo dallo spasimo incontrollabile del desiderio.
La sua inbox, piena di e.mail e meeting contrassegnati con la massima urgenza, diventava completamente invisibile ai suoi occhi ogni qualvolta che Luminita era presente. I suoi sguardi e i suoi patetici tentativi di mettersi in mostra agli occhi della donna erano divenuti ormai una costante in tutte le otto ore della giornata, una costante ritenuta patetica e assai sgradita da parte di tutti i colleghi, ma su cui nessuno aveva mai avuto il coraggio di aprire bocca per timore di subire le ire del “pezzo grosso”, che era lui. Luminita, dal canto suo, non era pienamente insensibile a tutte le attenzioni riservatele. Nonostante il fatto che le voci delle malelingue nell’ufficio si fossero già attivate per dare adito ad ogni possibile pettegolezzo, con o senza alcun fondamento, le attenzioni di cui il capo la omaggiava le fecero capire che con un attimo di “doppio gioco” l’intera faccenda avrebbe potuto giocare a suo favore. Indubbiamente non aveva intenzione di concedersi, sapeva di meritare di meglio di quel patetico uomo di mezza età convinto di essere il sovrano del mondo, ma poteva lavorare sui punti deboli del boss per renderlo ben disposto ad eventuali sue richieste.
Luminita sapeva che lui bruciava dall’attesa di avere un segno da lei, non potendosi spingere oltre difronte al resto della compagnia. Sapeva che era giunto il momento di lanciare l’amo e attendere che il pesce abboccasse, così prese la palla al balzo senza indugio.
Un pop-up di chat si aprì sul desktop di Dorin. Gli ci volle qualche istante per notarlo, poiché i suoi occhi erano ovviamente puntati sull’avvenente manager, agghindata in un elegante tubino rosso che esaltava ogni singolo dettaglio mozzafiato del suo corpo. Quando la donna si alzò improvvisamente e si allontanò dalla scrivania, il manager si volse verso lo schermo del portatile e si avvide del messaggio che le aveva lasciato.
‹‹Hey Ciao... Se hai un istante, vorrei parlarti in privato ma non qui. Sul retro del palazzo, dietro l’area fumatori, c’è un piccolo angolo lontano da occhi indiscreti. Se puoi raggiungimi tra due - tre minuti, per non destare sospetti.››
Annebbiato dall’impulsività, Dorin si levò come un grillo e abbandonò l’ufficio con passo rapido, incurante del suggerimento della donna di attendere qualche istante. Giunse con passo spedito al punto concordato e, non appena il suo sguardo si posò sulle sue curve, un brivido di eccitazione gli attraversò la spina dorsale.
‹‹Ciao Luminita... scusami per non aver aspettato, sai sono un uomo molto impegnato e volevo sentirti prima possibile, per snellire la mia lista delle cose da fare.››
Quella scusa suonò così ostentata e fasulla che la donna non poté trattenere una risatina. Il tono irrisorio di questa tuttavia fu mascherato dal sorriso che si dipinse sul suo volto, tale che Dorin non ebbe a pensare neppure per un istante che la considerazione di Luminita verso di lui fosse diversa dall’immagine che se ne era fatto egli in testa.
‹‹Sì, capisco... difatti chiedo venia per averti disturbato così, non ti ruberò tanto tempo, prometto.››
‹‹Tutto il tempo necessario, non vorrei evitare di tralasciare qualcosa comunque.››
‹‹Ecco... mi chiedevo, se...››
‹‹Se?››
‹‹Beh, io stasera non ho piani, diciamo... mi chiedevo se ti andasse di fermarci assieme a bere un drink, in centro. Se ti va, ovviamente.››
‹‹Sì, certo. É un’ottima proposta. Volentieri, giusto...››
‹‹Giusto?›› – ripeté lei, spiazzata dalla voluta interruzione dell’uomo.
‹‹Giusto, mi chiedevo... si tratta di un drink tra colleghi, o…?››
‹‹Mmm... direi di no!›› rispose Luminita, interrompendo preventivamente qualsiasi sua possibile risposta con un sensuale e profondo bacio sulle labbra.
Dorin non provò neppure a resistere. In quella parte della sua anima che spingeva verso la soddisfazione dei suoi impulsi, non il minimo dubbio si fece strada. In preda all’impeto, cinse la donna alla vita e la tirò a sé con forza, indugiando sempre più in quel bacio passionale. Fu lei, con suo disappunto, a svincolarsi dalla morsa dell’uomo e a interrompere la cosa.
‹‹Non qui, non ancora... ti prego!›› supplicò, visibilmente scossa dalla situazione.
‹‹Sì, perdonami, ti prego! Non so cosa mi sia preso.›› biascicò lui, riassumendo un minimo di contegno.
‹‹Facciamo alle 7, all’Embassy, ok?››
‹‹Sì sì, certo! Scusami ancora, davvero...››
‹‹Stai tranquillo, ho iniziato io, è colpa mia.›› asserì lei, abbassando lo sguardo ‹‹Rientra pure, io salirò tra qualche minuto.››
‹‹Certo, certo.›› balbettò Dorin ‹‹A dopo, allora!››
‹‹A dopo!›› soggiunse la donna, distrattamente, accompagnandosi con il gesto della mano per salutarlo.
L’uomo volse le spalle senza esitazione, tanta fu la vergogna che provò in quell’istante che non ebbe neppure il coraggio di voltarsi una singola volta a guardare la donna che, fino a poco prima, osservava insistentemente ogni qualvolta ne avesse l’occasione.
Una volta tornato alla sua scrivania, sentendosi la testa invasa da pensieri e impossibilitato a pensare criticamente, rimandò un meeting previsto per l’ora successiva senza neppure fornire spiegazioni. Tirò un sospiro e chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi su quanto accaduto e nel tentativo di considerare attentamente l’intera vicenda per capire come riprendersi, ma quell’attimo di raccoglimento venne interrotto dal suo telefono, che prese a vibragli in tasca.
Un messaggio, da Cristina:
‹‹Hey... come va il lavoro? Stasera pensavo che magari potremmo fare una passeggiata e cenare fuori, se ti va. Fammi sapere. Ti amo.››
Lesse più volte il messaggio, con un nodo in gola. Più volte nella sua mente tuonarono le parole ‹‹Cosa sto facendo?››, ‹‹Perché?››, eppure alla fine prevalse la solita voce dentro di sé che gli ripeteva ‹‹Se lascerai correre adesso non ci sarà un’altra chance, è tua! Te l’ha appena dimostrato!›› e ‹‹Lei è l’unica cosa di valore che sia mai capitata nella tua inutile vita, hai sprecato così tanto tempo dietro cose per cui non hai alcun interesse, non ripetere questo errore!››. Così, anche se con le mani tremanti per il sovraccarico emotivo, rispose.
‹‹Hey cara. Qui alle solite. Mi piacerebbe davvero, ma penso che stasera tornerò più tardi del previsto. Abbiamo anticipato ad oggi una cena di lavoro in programma con il team del Global Procurement. Verranno discusse cose importanti e, anche se non mi va, non posso mancare. Cercherò di tornare prima possibile, tu comunque non stare in ansia. Ti amo anche io.››
Aveva appena mentito, spudoratamente, e la cosa gli aveva messo una certa ansia. Non era abituato a farlo, non più almeno. Alcuni episodi simili erano già capitati in passato, momenti in cui aveva avuto sbandate per altre donne, eppure si era sempre tirato indietro. Nonostante non fosse successo nulla di grave, Cristina aveva cominciato a insospettirsi di diversi dettagli, e la loro relazione aveva avuto alcuni momenti bui che si era giurato di non toccare mai più. Eppure, stava violando il suo giuramento, e lo stava facendo di proposito. Sui due piatti della bilancia, da un lato c’era il vincolo di fiducia e di cura che lo legava a sua moglie e ai suoi figli, mentre dall’altra c’era l’irresistibile pulsione di fare qualcosa che, seppur sbagliata, avrebbe potuto essere l’unico atto di vera libertà all’interno di una intera vita di monotona e superficiale ipocrisia.
La risposta di Cristina giunse quasi subito:
‹‹Ok, capisco, nessun problema. Spero che non ti annoierai. Cerca di non tardare e abbi cura di te. Ti amo.››.
Stavolta si limitò a leggere il messaggio una sola volta, senza rispondere. Mise il telefono in tasca e cercò di concentrarsi il più possibile sul lavoro da fare, in modo da non dover fare seriamente straordinari e rischiare così di saltare l’appuntamento con Luminita.





[1] Contrazione popolare di “buna dimineata”, che significa Buongiorno.

Ixodida è un racconto di Antonio Fadda


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