Frammenti

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SIMONE CENSI

FRAMMENTI




PRIMO FRAMMENTO

Viene la sera, si accendono i lampioni ed io seduto su una panchina dei giardini, guardo la città che vive.
Un travestito passando mi sfotte, aspetta un cliente.
È bello e pulito, forse un po' troppo elegante.
Un motorino fastidioso gira qua attorno, sgassa, s'impenna, schiva d'un soffio una macchina, poi via a tutta velocità nel traffico.
Passanti frettolosi rientrano a casa con le buste della spesa.
Vedo una donna che s'incammina per il viale sotto i platani stillanti umidità.
Con lo sguardo la seguo da lontano, è assorta e con gli occhi bassi non guarda la gente che incontra.
Sparisce in un tram.
Le auto che girano, girano, chissà dove andranno mai.
Si fa tardi, un ubriaco si ferma a vomitare qualche albero più giù, il travestito lo maltratta per avergli sporcato il suo posto, quasi avesse vomitato in casa sua.
Alle mie spalle nel giardino movimenti furtivi, per niente strani, giovani s’inseguono dietro le siepi, un riso appena accennato, qualche ansito, un gemito forse.
Domattina fazzolettini bianchi e preservativi testimonieranno che c'è stato amore.
Finalmente un cliente s'è fermato, inizia il mercato, non si compra senza aver vista prima la merce. Il pallore di un seno perfetto, forse troppo perfetto appare dal giacchetto di strass, dalla macchina una mano si sporge a tastare... “100”, “no 50”, “per cinquanta puoi fottere con tua sorella”.
La portiera si apre, sale e via con questo moderno centauro.
Forse era meglio andare in piazza, è tardi, forse è meglio tornare a casa.

SECONDO FRAMMENTO

Bianca … rossa, camionetta vigili del fuoco … nera … verde bottiglia, con ruota sgonfia … nera satinata … bianca, ambulanza … rosso bordò, alla guida una più anziana di me … troppo veloce … verde militare … bianca sporca con la scritta LAVAMI sul lunotto posteriore … ero distratto … già… ma chi se la comprerebbe mai di quel giallo lì? ... Nera …

Non so nemmeno io da quante ore sto seduto a fissare il traffico sulla strada che scorre davanti a me, seduto su questa scomoda panchina che ha visto sicuramente stagioni migliori.
Macchine veloci e caliginose scie si susseguono.
Le ossa del sedere iniziano a indolenzirsi e le gambe mi si stanno addormentando, tanto che quando le poggio a terra, sembrano inconsistenti e inaffidabili.
Dopo un lungo inverno e una primavera che fino a questo momento ha fatto più promesse che altro, oggi c’è stato un po’ di sole a scaldare queste quattro povere ossa che sembrano una spugna per l’umidità.

Questa ha il volto più sgualcito della gonna, rimmel e rossetto si sono fusi e la sigaretta all’angolo della bocca non migliora certo la situazione … questo ha un difetto alle anche e il piede destro butta in fuori rispetto al sinistro, se fosse un orologio, segnerebbe le due in punto … quest’altro ha il risvolto dei pantaloni tirati su come se avesse la casa allagata e le scarpe che porta sono almeno di un numero superiore.

Le donne passeggiano sul marciapiede davanti a me e il tacchettare assordante di tacchi sul lastricato fa il paio con il tombino traballante posto sulla parte della carreggiata dove passano i battistrada. Un colpo secco seguito da un altro identico a ogni passaggio di un’autovettura.
Ogni tanto qualche passante accenna un saluto nella mia direzione con un gesto della mano e si lascia sfuggire un mezzo sorriso, altri nemmeno si girano, mormorano qualcosa alzandosi il bordo del cappello di qualche centimetro e accompagnando il gesto con una leggera flessione del collo.
Sconosciuti.
Persone che non ricordo e che forse hanno indossato dei visi conosciuti di cui però non ho memoria.
Questi volti per me sono diventati delle pagine crittografate dalle quali non riesco a leggere più nulla.
Li vedo indossare delle maschere inespressive mentre cadenzati, avanzano tra la nebbia avvolti lungo il marciapiede.
A volte mi trovo seduto su questa panchina il pomeriggio e … non so mentire a me stesso e raccontando in prima persona non so mentire nemmeno a te, quindi ti dico che mi trovo sempre seduto su questa panchina il pomeriggio, ogni santo giorno sempre che qualche altro vecchietto uscito prima da casa non decida di fottermi il posto.
Cosa che accade abbastanza frequentemente.
Adesso è libera quindi siediti con me che ti faccio un po’ di spazio.
Sembra semplice la vita di noi altri poveri vecchi, sveglia presto, ciondoloni per casa finché un’amorevole moglie non ci mette alla porta con la scusa di qualche commissione mentre lei ha già programmato tre lavatrici e le pulizie periodiche.
Allora andiamo a intasare le file agli sportelli pubblici, come un esercito ben addestrato, scegliendo chiaramente gli orari di maggior affluenza come prima di andare a lavorare o appena usciti da lavoro, non disdegnando azioni come il saltare la fila e il passare avanti.
Poste, banche, sportelli comunali, ospedali per poi passare a farmacie e generi alimentari prima di tornare a casa con la consueta flemma.
Non è così, tu non puoi immaginare, qui è una guerra.
Ti faccio un esempio su tutti solamente per arrivare a sedersi su questa panchina.
Arrivati in piazzetta si da uno sguardo intorno fin dove la vista di ciascuno può arrivare, a volte grazie ad occhiali spessi come fondi di bicchiere a volte nonostante fastidiose cataratte e si cerca subito di capire quali sono le disponibilità.
Le preferite come facile intuire, sono d’estate quelle riparate dai rami degli alberi che sorgono al limitare del lastricato e forniscono un’adeguata ombra e riparo dalla calura estiva e al contrario nei mesi invernali sono quelle poste dal lato opposto privo di alberi, dove un tiepido sole arriva a scaldare le ossa e le articolazioni.
La scelta è coscientemente ponderata in base ad una proiezione di come le ombre si spostano in base alla stagione e all’ora del giorno, il metodo è scientifico.
Trovato l’ottimo paretiano, si possono vedere questi vecchietti inizialmente indifferenti avviarsi con passo stanco mentre con la coda dell’occhio tengono sotto controllo eventuali contendenti.
Si cerca in quel frangente di macinare più strada possibile prima di dare il via alla volata finale.
Se ci si trova in direzione di una panchina libera contesa tra più rivali, li vedrai muoversi con passo sostenuto in base alle possibilità di ciascuno dettato dallo stato di consumo delle giunture.
Proprio in quell’occasione si può fare un raffronto diretto tra quelli con cui la vita è stata più magnanima e quelli su cui è passata come un rullo compressore.
Puoi notare lo zoppo claudicare vistosamente aiutato da un bastone, il neo infartuato rosso paonazzo in viso arrancare con il fiatone e la lingua di fuori, il rimbambito rimbalzare tra le persone che passeggiando sono entrate in rotta di collisione con la sua traiettoria e alla fine non ritrovare la giusta direzione.
Tra i facenti parte di questa variegata umanità arrivata in prossimità dell’obiettivo, non esiste alcuna possibilità di un gesto amichevole del tipo “ma prego si sieda pure c’era prima lei” o al limite “prego si accomodi tanto la panchina è tanto grande da permettere a più culi di stare comodamente seduti”.
Non va così questo genere di cose tra noi.
Se si fa parte dello stesso gruppo, cosa che per gli anziani di solito equivale a vivere nello stesso quartiere o a far parte del medesimo circolo ricreativo parrocchiale, allora ci si può sedere assieme come vero e proprio segno di affiliazione, altrimenti il primo che nonostante gli acciacchi e la fatica riesce a occupare la panchina, si accomoda nella maniera più sbragata cercando in questo modo di occupare quanta più superficie possibile, magari poggiando di lato anche il cappello e facendo cenno che la panca è diventata di loro proprietà agli altri della stessa compagnia rimasti nelle retrovie.
Chi invece si è visto portare via la seduta per un soffio, facendo assolutamente finta di niente per non dare all’avversario soddisfazione alcuna, continua oltre con la stessa andatura sostenuta come se non fosse stato minimamente interessato a quella panchina, magari puntando la successiva, anche se si trova palesemente sotto il picco del sole, mugugnando temibili quanto incomprensibili anatemi al vecchietto che è stato più veloce o più scaltro.
La fila alle Poste alle otto di mattina quando c’è l’afflusso di quelli che devono di corsa andare a lavoro, al panettiere quando le massaie devono scappare a preparare il pranzo, al bar per le colazioni, al supermercato all’ora di pranzo quando sale la frenesia per l’intensa quanto breve pausa, al bagno pubblico per le frequenti minzioni, per la seduta migliore sulla panchina al parco.
La vita di noi vecchietti è molto competitiva, sottolineata da continue manifestazioni di forza e di sforzo, ma soprattutto d’ignoranza.
Altro che la saggezza che si acquisisce a una certa età, non lasciarti ingannare.
Noi anziani siamo una razza competitiva e che sa molto bene giocare sporco!
Non abbiate pietà, perché noi non ne avremo!

Uomo calvo, grasso e sudaticcio con cane nero zoppo di piccola taglia, probabilmente ci si sarà seduto sopra … donna con borsa pelle bianca e scarpe rosa male abbinate, sicuramente si sarà vestita al buio questa mattina … uomo in giacca elegante a righe e collo taurino, indossa una cravatta rossa stropicciata che sembra quasi strozzarlo, probabilmente sarà uno di quelli che non sa farsi il nodo da solo e se la sfilerà ogni sera senza disfarlo … ragazzo con auricolari inseriti e musica a tutto volume che non sente autista automobile che inveisce perché quasi lo mette sotto …

Il vento trascina lontano polvere e fogli di giornale accartocciati, inizia a fare freddo e nel cielo si rincorrono nuvole cupe. Il traffico è aumentato e ora le macchine passano lente con i fari accesi nella sera che si fa sempre più scura.
Il rumore del tombino ora è più scandito. Un passante con il bavero alzato sparisce dentro una porta. Cigola un’insegna sopra di me sospinta dal vento e non sento qui dentro qualcosa che nemmeno cigola più.
Se ti sei annoiato a starmi a sentire, allora dovresti proprio vedere la faccia della donna che da ore impaziente sta in piedi qui davanti.
Non molto alta, non molto appariscente su due scarpe con tacco non molto alte di vernice color tabacco.
Una gonna perfettamente in piega due dita sotto il ginocchio, una gamba esile e ben modellata, ferma in piedi come sull’attenti, stretta in un giubbino di pelle nera che fascia un fisico minuto. Capelli corti, risaltano dai tratti del viso un’aria scontrosa e al tempo stesso contrariata.
A vederti dall’espressione che fai credo che non la conosci nemmeno tu.
Non capisco cosa ci faccia ma è rimasta impalata come un baccalà da non so quanto tempo.
Guarda disinteressata intorno a se, poi mi getta un’occhiata addosso, poi guarda l‘orologio, poi si riguarda intorno, poi cerca qualcosa nella borsa, estrae un telefono, compone un numero e parla e parla animatamente a profusione e ogni tanto mi indica con il palmo della mano rivolto all’insù, come se fossi il coglione di turno che gli è capitato tra capo e collo.
Ce l’ha con me o con te?
Una donna giovanile ma non più tanto giovane, sotto quel giubbino stretto si può immaginare un fisico minuto e snello, forse no, mi verrebbe meglio dire nervoso.
Un unico fascio di nervi che avvolge quella donna che si muove a scatti, gesticolando vivacemente come se l’interlocutore al telefono potesse vedere come accompagna con il movimento del corpo le proprie opinioni.
Un unico insieme di nervi che dai talloni portano alla cima dei capelli, corti e un po’ imbiancati dall’età, ma comunque freschi di parrucchiera.
Una donna molto curata, che non si capisce bene cosa stia facendo da ore di fronte una panchina con seduto un vecchietto come me.
E te vicino a me è inutile che fai finta di niente.
Mi mette un po’ a disagio a dirla tutta, soprattutto perché nonostante non l’abbia mai vista, sembra proprio avercela con me.
M’indica in maniera sempre più insistente, gesticola e diventa sempre più impaziente e scontrosa.
Il grosso bauletto di nappa marrone con serratura e ganci dorati è passato freneticamente da una mano all’altra, spesso in questi passaggi il telefono è estratto a metà dalla custodia, forse per vedere l’ora e poi reinserito frettolosamente e senza troppa cura.
La cosa è imbarazzante per me, la vedo confabulare qualcosa ma io proprio non capisco cosa voglia, oltretutto sono un tipo molto riservato quindi non le do corda e faccio finta di essere sempre più impegnato nella mia principale occupazione.

 Rossa … nera … bianca … bianca … nera …

Lei sembra sempre più spazientita, si è fatta rossa in viso, è visibilmente alterata e oramai non c’è più modo di far finta di niente, si è avvicinata in prossimità della panchina, devo decidermi ad affrontarla.
Provo a issarmi in piedi poggiando una mano sullo schienale della panchina ma come faccio per alzarmi lei scatta verso la mia direzione.
Ho paura, mi riseduto subito.
Mantengo un basso profilo, sai mai che mi trovo di fronte ad una spostata che non si sa come reagisce. E se poi s’incazza? Che gli posso fare io?
Se questa è matta come sembra, non voglio farmi seguire fin dove abito, potrebbe mettersi a pedinarmi e chissà di cosa sarebbe capace.
Aspetto.

Signora con un vestito bianco spiegazzato e le calze strappate, di ritorno da un incontro amoroso? … coppia di ragazzi che si tengono per mano per poi lasciarsi quando incrociano qualcuno che conoscono, amori alle prime armi … allegra signora con cane che fa gli occhi dolci a uomo su vespa gialla che ammicca e accompagna con il trillo del clacson … donna bizzarra che mi guarda in cagnesco, si quella con i capelli corti

Mi giro verso di lei ma non c’è più. Quella strana donna dai capelli corti sembra essersene andata per i fatti suoi.
Meglio così.
Non faccio a tempo ad alzarmi in piedi che la rivedo sbucare da dietro un cespuglio.
Allungo il passo, si fa per dire, cerco di avvicinarmi alla strada per attraversare sulle strisce, il marciapiede è altissimo.
Che fai rimani lì seduto tu?
La donna dai capelli corti sta dietro di me braccia conserte, mi tallona per mettermi fretta ma non sembra intenzionata a raggiungermi, pare tra l’alterata e l’indispettita, sbuffa che sembra una locomotiva.
La osservo con la coda dell’occhio mentre non trovo nemmeno un cane che mi faccia passare.
 “Ma le vedete o no queste strisce?”
Urlo con aria minacciosa all’indirizzo di automobilisti indifferenti alle mie umane miserie.
Ma perché nessuno si ferma?  Qui non c’è nemmeno un semaforo per pedoni.
Una macchina sembra rallentare, ma proprio in quel momento è sorpassata a destra da un ragazzino su un motorino che per poco non mi centra.
“Ci sono le strisce!”
Urlo in direzione del delinquente in fase adolescenziale ma nel frattempo la macchina che si era fermata per farmi passare ha ripreso la marcia seguita da tutte quelle che la incalzavano a colpi di clacson.
La donna dai capelli corti che mi sta dietro dice qualcosa che non capisco e non posso nemmeno guardarla bene in faccia per leggere in labiale, nel frattempo un’auto, forse guidata da qualcuno che era presente alla lezione di scuola guida dove s’insegnava a far attraversare i pedoni sulle strisce, si è fermata.
Attraverso la strada come un grande attore in un’uscita di scena, con un sorriso e alzando il cappello.
A fatica mi trascino tra i clacson della gente infuriata che si vede rallentare la propria corsa da un povero vecchio e mi verrebbe da fermarmi e sbattere il mio bastone sui loro cofani, ma poi con la coda dell’occhio vedo la donna dai capelli corti che dietro di me sembra aizzare la folla con plateali gesti, come a incitarli a urlarmi contro di togliermi dai piedi.
O forse sta invitando gli automobilisti a non indugiare e mettermi sotto definitivamente.
Deve essere proprio una folle, una persona così andrebbe definitivamente rinchiusa e buttata via la chiave.
Come un impazzito direttore d’orchestra, quella dissennata sembra guidare il coro di trombe rivolte al pubblico ludibrio di un indifeso vecchietto e dentro quelle scatole metalliche motorizzate, attraverso spessi vetri trasparenti, vedo gente infuriata con volti tirati che sbracciano e sbraitano a più non posso nella mia direzione.
Scampato il pericolo della traversata, m’inerpico per una stradina che tra due alte file di abitazioni porta nella collinetta che sovrasta la piazza del paese dove abito con mia moglie.
Ho sempre abitato in quella zona del paese e quelle strade le ho sempre battute fin da quando ero giovane, anche se con un ritmo di passo chiaramente diverso.
Quando si usciva da casa si era felici per la serata che si andava apprestando e la strada era tutta in discesa soprattutto se si prevedeva un incontro amoroso.
Al contrario la notte al ritorno la strada era in salita, ti dava il tempo di riflettere, di pensare prima di ritornare a casa, magari su un rifiuto che si era incassato durante la serata.
Adesso la strada sia in salita sia in discesa, è sempre e comunque dura da percorrere e quindi il senso di marcia cambia ben poco.
E guarda un po’, come mi fermo per riprendere fiato, mi ritrovo la donna dai corti capelli che facendo finta di niente mi segue passo dopo passo a debita distanza.
Si ferma quando io mi fermo e riprende il cammino una volta che mi sono riposato.
Sempre diversi metri distante da me, una volta dietro lo spigolo di una casa, altre volte dietro una macchina o nascosta in un cespuglio.
Ma che vuole fregarmi la pensione? Non esco mai con un soldo in tasca proprio per non rischiare.
Se incontro qualche malandrino per la strada non potrebbe rubarmi che la vecchiaia.
Tutto quello che ho di maggior valore, è mia moglie e tutto il resto lo gestisce sempre mia moglie, quindi non riesco a capire proprio cosa voglia questa sconosciuta da me.
Per un momento mi dimentico degli anni che ho alle spalle e li lascio lì, dove si trovano. L’adrenalina sembra avermi grattato via l’età di dosso, diventando così un giovane vecchietto che si è appena affacciato alla terza età.
Niente di ché ma guarda come vado più spedito ora.
Con rinnovata freschezza raggiungo il cancello di casa mia e lo chiudo dietro le spalle con un colpo secco e sonoro, infilandomi così al riparo.
Il rumore del cancello chiuso ancora mi rimbomba in testa e dietro l’angolo poggio le spalle al muro della casa, riempiendo ritmicamente i polmoni in attesa di calmare il vecchio cuore che sembra scoppiare nel petto.
Sono completamente sudato e ansimante.
Mi asciugo con il lembo di una manica della camicia e cerco di calmarmi un attimo.
Se entrassi in casa in queste condizioni, mia moglie prima mi griderebbe per aver sudato, poi mi griderebbe perché ho sudato nei vestiti che indosso e lei con il mal di schiena che ha non può sempre stare a fare il bucato e stirare le mie camicie.
Poi se le racconto quello che mi è successo mi prende per matto e mi fa rinchiudere, in altre occasioni me l’ha solo detto sottoforma di minaccia ma dopo quello che mi è successo oggi lo fa veramente, quindi mi faccio gli affari miei e vedo quello che succede.
Entrato in casa dalla porta posteriore, raggiungo subito la finestra della sala che da sulla strada, aggirando la cucina dove la mia dolce metà sta cucinando per la cena.
Mi apposto dietro la tenda scostandola di un poco, mi accuccio e butto un occhio sulla strada.
Trattengo perfino il respiro che qualsiasi movimento della tenda potrebbe tradirmi.
Ecco passare la donna dai capelli corti.
Si guarda intorno, mi sta cercando, probabilmente non mi ha visto entrare in casa.
Ora si gira in direzione della finestra, poi guarda dentro il cancello, non è una sensazione quella matta cerca proprio me.
Ora sta lì impalata davanti al cancello, vedo che rovista convulsamente nella sua enorme borsa di pelle e tira fuori cose e cose, fino a trovare il telefono.
La borsa straborda di roba, qualcosa finisce a terra.
Compone un numero e poi guarda la finestra.
Mi abbasso d’istinto e in quel momento sento dall’altra stanza il telefono squillare.
Non può essere vero, deve essere una coincidenza per forza di cose.
Provo a sbirciare fuori, mia moglie risponde all’apparecchio ma sento solo la sua voce.
Sicuramente può essere solo una coincidenza.

“Pronto? Ciao, dove siete?”
“Ma come, qui non è rientrato io non ho sentito niente …”.
“Ma come verso casa …? Aspetta che guardo …”
“Ma... no tranquilla è qui, è rientrato, non lo avevo sentito. Dai entra e fermati a cena.”
“Va bene, ma almeno entra un attimo che ti porti via un po’ di sugo …”.
“Come ti pare, ma non gli far mangiare sempre la pizza a quella la che gli fa male.”
“Avete passeggiato un po’?”
“Ma lui cammina, anche stamattina è uscito, non ti preoccupare …”.
“Eh. sì, sì, lo so. Grazie allora ci sentiamo domani …”
“A domani, ciao.”
CONTINUA


Frammenti è un racconto di Simone Censi

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