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Quella notte il temporale era stato
violento ed aveva destato non poche preoccupazioni agli abitanti della bassa
Valtellina. I Comuni situati lungo il corso dell’Adda erano in stato d’allarme
perché alcune frane si erano verificate sulle alte colline.
La pioggia
continuava a cadere insistentemente; già diversi smottamenti di terra si
dirigevano verso la valle, minacciando di travolgere le abitazioni.
Tonnellate di
detriti si riversavano dentro il fiume e ne ingrossavano le acque che scorrendo
vorticosamente, trascinavano ogni cosa al loro passaggio, con il rischio di
rompere gli argini sul ponte di Tresenda dove in passato,
erano accadute altre inondazioni, oltre a quella disastrosa del luglio 1987, la
quale provocò una frana che travolse, fra l’altro, Morignone e Sant’Antonio di
Morignone.
Nel grosso
Centro per anziani, ubicato nella parte più alta di un Comune della zona, il
vento aveva scoperchiato il tetto del fabbricato e due operai erano stati
chiamati per un urgente lavoro di riparazione.
Da qualche tempo,
però, la direzione del Centro aveva in programma di iniziare risolutive opere
di ristrutturazione divenute ormai improcrastinabili.
Per questo
motivo, aveva richiesto l’intervento di un tecnico che verificasse l’entità dei
lavori da eseguire e predisponesse un preventivo da sottoporre all’approvazione
del Consiglio d’Amministrazione.
Dalla finestra
della sua camera, la “Signora” guardava con un binocolo il lavoro che
volontari della Protezione Civile stavano svolgendo per sgombrare la strada
sottostante, bloccata da una frana.
Qualcuno bussò
alla porta.
«Avanti, è
aperto!»
«Signora» disse
la giovane cameriera entrando. «Oggi dovrebbe venire l’ingegnere per un
sopralluogo e dovrà ispezionare il bagno dove lei ha segnalato delle
infiltrazioni.»
«Alla buon’ora!»
esclamò la “Signora”. «Si sono finalmente decisi a chiamare
qualcuno, quelli dell’Amministrazione?»
La giovane
accennò ad un sorriso imbarazzato e la donna continuò:
«Quando
arriverà quest’ingegnere, avvisatemi. Grazie!»
La ragazza
salutò ed andò a riferire il messaggio.
Elena, la “Signora,”
come tutti la chiamavano, si guardò in giro per vedere se c’era qualcosa fuori
posto.
Era una donna
meticolosa che amava la pulizia, l’ordine e la precisione. Ma un rapido sguardo
intorno, la tranquillizzò: tutto sembrava in ordine.
Il suo
appartamentino, situato al primo piano dell’edificio era composto di due
stanze: camera e soggiorno, più la cucina ed il bagno.
La camera era
costituita dal lettino, appoggiato alla parete adiacente alla finestra, da un
armadio e da un comò, sormontato da un largo specchio che serviva da toletta.
Annesso alla
camera vi era il bagno.
La cucina
comunicante con il soggiorno, era poco usata da Elena che preferiva pranzare
con gli altri ospiti nel refettorio, desiderosa sempre di compagnia.
In soggiorno,
faceva bella mostra di sé un mobile che la “Signora” aveva portato con orgoglio
dalla sua famiglia d’origine. Si trattava di una bella credenza in noce, con
tre ante in vetro opaco nella parte superiore; le corrispondenti ante inferiori
erano in legno massiccio. Il tavolo, sempre in noce, al centro della stanza,
era ricoperto da una fine tovaglia di lino ricamato.
Completava
l’arredamento un televisore ed un salottino di vimini, posto di fronte alla
finestra, servita da un bel poggiolo dal quale si potevano ammirare le
magnifiche alpi Orobie, innevate per la maggior parte dell’anno, e tutta la
valle dell’Adda.
Elena fece un
rapido bagno, quindi si sedette alla toletta e, avvolta in un largo
asciugamano, cominciò a truccarsi il viso come aveva sempre fatto, fin da
giovane, quando aspettava visite.
Lo specchio le
rimandò l’immagine di una donna non più giovane, ma ancora piacente che
risvegliò in lei ricordi sopiti, ma certo non dimenticati.
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