«Che
trina elegante!» sussurrò il vecchio, indicando con un dito ossuto
l'elaborato pizzo nero che orlava il bordo di pelo e risaltava sul tessuto
turchese del cappotto. «Sembra un decoro d'altri tempi!»
Elina
si raddrizzò in un sobbalzo: da dove era spuntato?
Abbozzò
un sorriso, turbata dall'inatteso complimento e fissò il mercante che scrutava
con interesse un punto tra i libri. Il volto era una fine ragnatela di rughe e
la pelle brillava nivea nella penombra dell'arcata; un lungo crine bianco
cadeva sulle spalle curve, sparpagliandosi rado sul mantello nero, troppo
signorile per un modesto libraio.
Il
venditore sollevò lento il viso e la sua espressione la trafisse: invece di
iridi acquose, scolorite dall'età, incrociò uno sguardo diretto, nero e
penetrante, che per un istante sembrò leggerle l'anima. Un'esclamazione
stupefatta le sfuggì dalle labbra e distolse gli occhi. Percepì un insolito
timore nel cuore. Quando rialzò lo sguardo, l'ambulante le volgeva noncurante
le spalle. La sua cappa carezzava lieve il terreno.
Lo
sguardo di Elina seguì quello del vecchio. Una consunta custodia di pelle,
annerita dal tempo, faceva bella mostra di sé sopra i libri. Un nastro di seta
scura e sfilacciata a chiuderla di lato.
Non
riuscì a trattenere il gesto. La mano sfiorò appena lo spesso fodero dai bordi
decorati con fatiscenti cuciture. Del filo, un tempo dorato, rimaneva solo un
vago ricordo inciso nella pelle.
Qualcosa
pulsava tra le fragili pagine color sabbia, dai bordi logori e irregolari,
attirandola in modo irresistibile. Dopo un'ultima, delicata carezza, raccolse
con cura la custodia, l'avvicinò al volto aspirandone il profumo antico e
infine sciolse piano il fiocco tirando un capo del nastro.
Il
cuore le batteva forte, ma naturalmente non accadde nulla e la guaina scura
rimase inanimata tra le sue mani. Sollevò la copertina. C'erano cartoline
d'epoca e stampe sbiadite dal tempo. L'immagine seppiata di un chiostro la
colpì: esili colonne sostenevano aggraziati archi a sesto acuto e, al centro,
un ammasso di rovi annerito dalle nuvole che offuscavano la luna.
Qualcosa,
ancora, reclamava la sua attenzione tra le pagine: l'immagine confusa e stinta
di un drappo nero, forse un raffinato e avvolgente mantello; e la figura di una
rosa, anch'essa nera, che stillava sangue. Quel sangue, tetro nella
raffigurazione, appariva vividamente rosso nell'immaginazione di Elina.
Richiuse
di scatto la custodia, la schiena percorsa da un brivido, e si avvide che
l'anziano libraio era scomparso.
Lesse
il prezzo: era regalata!
Fece
per posare la banconota sul tavolo, ma la mano increspata del venditore,
apparso di nuovo dal nulla, la precedette offrendole in silenzio un pendente
con un singolare cammeo.
Elina
scosse il capo, ma il vecchio insistette.
Le
mostrò la fine catenella d'argento, luccicante nel crepuscolo tinto di grigio
dalla fredda nebbia invernale, indicando l'esile collo della giovane.
Rifiutò
ancora, irritata.
Il
libraio la fissò per un lungo istante con lo sguardo penetrante delle iridi
nere.
Schiuse,
poi, appena le labbra in un sorriso enigmatico, guardandola come se la
conoscesse da sempre, e inserì la catenina tra le immagini del fodero.
«Ė
in vendita solo con il medaglione!» esclamò, in un soffio roco, con lo sguardo
che ancora la scrutava in profondità, quasi volesse rubarle l'anima.
«Quanto
costa?» chiese Elina in un sospiro, distogliendo il volto, a disagio.
«È
un omaggio!» mormorò il libraio accennando un inchino, le labbra sempre
atteggiate nel misterioso sorriso «Per ricordare, per comprendere, per cogliere
al volo la salvezza!»
Elina
sgranò gli occhi, ma il vecchio continuò:
«Ricevi
la salvezza per donarla!» spiegò, in un criptico sussurro, con l'indecifrabile
sorriso ancora adagiato sulle labbra sottili e le iridi nere che scintillavano,
nonostante nessuna luce le illuminasse.
La
giovane sfuggì di nuovo al confronto abbassando il viso.
Quando
lo rialzò, percepì l'ondeggiare leggero del mantello; ma del libraio non vi era
più traccia.
La lettera misteriosa
In
albergo, Elina slacciò subito il fodero.
C'era
un foglio ripiegato in quattro. Lo aprì attenta a non sgualcire la carta
ingiallita della lettera: quattordici dicembre; l’anno era indecifrabile.
C'era
una larga macchia scura. Non era inchiostro, sembrava quasi...
«Sangue!»
la parola le sfuggì più veloce del pensiero.
Scosse
la testa e forzò una stridula risata per stemperare l'inspiegabile sensazione
che la turbava da quando l'anziano libraio l'aveva fissata con gli incredibili
e scintillanti occhi neri. Era stato uno sguardo intenso, che era sembrato, al
tempo stesso, carezzarla dolcemente e violare la sua intimità; come se
quell’uomo conoscesse ogni suo segreto.
«Quattordici
dicembre, anno illeggibile. Alba.» lesse ad alta voce.
Vista
la calligrafia delicata e svolazzante, probabilmente si trattava di una donna.
«A
te, che leggi e non credi, che hai dimenticato i tuoi sogni di bimba.» continuò
a leggere con voce sussurrata.
Si
fermò, esitante. Davvero non credeva più? Aveva scordato tutti i suoi sogni?
Tornò
a immergersi nella lettura.
Il
suo animo romantico ne fu rapito.
Raccontava
di un amore appassionato, osteggiato dalle famiglie: lei, bella e di nobili
natali; lui fin troppo serio e intelligente, studioso e grande amante dei libri.
«Ovvio!»
esclamò Elina ironica.
I
due si erano ribellati alle convenzioni e avevano pianificato la disperata fuga
d'amore.
Il
racconto era confuso e irreale, la lettura difficoltosa per le macchie cupe che
celavano le parole rendendo incomprensibile il senso di alcune frasi.
Non
poteva essere sangue.
Elina
rigettò il dubbio con decisione: non intendeva cadere nella solita trappola
delle leggende transilvaniche.
Il
pericolo gravava sui giovani come un'ombra opprimente. La ragazza sembrava
essere stata catturata...
«….dall'ombra
famelica di un vampiro!» esclamò Elina con uno sbuffo stizzito: tutti i
racconti finivano sempre tragicamente tra i denti aguzzi d'immortali esseri
inesistenti!
Il
giovane amante aveva lottato; e per salvare l'amata aveva scelto di
sacrificarsi. Con un lungo spino, strappato ai rovi, si era lacerato a fondo la
pelle del polso, offrendo la propria vita al vampiro.
La
lettera narrava di una splendida rosa nera fiorita al bacio delicato della
luna, proprio la notte del quattordici dicembre.
Elina
immaginò di vederla sbocciare rigogliosa nelle tenebre, illuminata dai candidi
raggi lunari, ergersi a baluardo contro l'ombra del male.
Giunse
alla fine della pagina.
La
girò frenetica.
Era
bianca.
Cercò
affannata nella custodia, tra le cartoline.
Niente!
Cos'era
accaduto al giovane? Era sopravvissuto? O il vampiro ne aveva spremuto la
rigogliosa vita bevendo fino all'ultima stilla la sua rossa linfa vitale? O
l'aveva trasformato in una creatura della notte dannandolo a un'eterna non vita?
All'improvviso
ricordò il medaglione.
Osservò
meglio il cammeo. Rappresentava un viso somigliante al suo: lineamenti
delicati, ovale piccolo, grandi occhi, sopracciglia fini, labbra ben modellate,
lunghi capelli trattenuti a lato da un complesso fermaglio.
Avvicinò
il monile agli occhi; e la distinse: una rosa tratteneva la capigliatura!
Scosse
la testa, agitata. Fece scattare l'apertura del pendente per rivelare la miniatura
interna: un giovane dal volto pallido incorniciato da capelli corvini.
S'intravedeva
il bavero di un mantello scuro. L'espressione era imperscrutabile, forse
un'ombra di tristezza, le labbra sottili appena dischiuse in un sorriso
misterioso. La attirarono più di tutto gli occhi: erano neri e scintillanti.
Ebbe
la singolare impressione di averlo già visto.
«È
Impossibile!» esclamò Elina risoluta.
Il
giovane tra le lunghe dita affusolate stringeva una rosa nera: era un fiore
sciupato, appassito, morente, con i petali indeboliti e prossimi alla caduta.
Un
lampo improvviso le attraversò la mente.
Aveva
capito.
Trandafir
era il nome del paesino in cui si trovava!
E
Trandafir, in rumeno, significava rosa!
No,
nulla aveva senso in quella notte fredda!
La
nebbia era scesa come un velo silenzioso sul paese.
Era
la notte del quattordici dicembre: la più lunga dell'anno, secondo la
tradizione del luogo.
Un
interrogativo, però, vorticava insistente nella sua mente.
Che
cosa significavano le ultime parole che il vecchio libraio dalle luminose iridi
nere le aveva rivolto?
«Ricevi
la salvezza per donarla!» aveva detto.
La rosa nera
Elina
si svegliò all'improvviso dopo mezzanotte.
Aveva
nella mente l'immagine offuscata di un sogno affascinante. Ne percepiva, però,
solamente un precario ricordo.
Si
alzò con uno sbuffo infastidito.
La
lettera era ancora là, insieme al medaglione, entrambi testimoni di una
romantica storia impossibile.
Accarezzò
l'effige del cammeo.
Decise
all'improvviso, senza ragionare.
Afferrò
il cappotto e lo indossò. Era caldo e imbottito, lungo quasi fino alle
caviglie. Sotto di esso indossava ancora la camicia da notte bianca che si
intravedeva per una spanna.
Era
un’evidente follia, un'inaccettabile assurdità, un’azione che avrebbe potuto
essere commessa solamente da giovani e ingenue eroine dei film.
Era
trascinata da un irresistibile impulso che la obbligava ad uscire.
Era
la notte del quattordici dicembre: una notte buia e nebbiosa, tinta appena del
chiarore di una luna lattiginosa e sfocata.
Fu
accolta da una folata d'aria ghiacciata.
La
via era scarsamente illuminata da lampioni appannati che Irradiavano una fievole luce
gialla. Tra il precario cono di luce sotto ciascun lampione e quello
successivo, c’erano profonde chiazze d'ombra. Un fumo caliginoso saliva in
lente volute verso il cielo.
Fece
pochi passi.
La
nebbia la avviluppò, densa e accecante, silenziosa e avvolgente.
Percepì
un'ombra alle spalle. Accelerò il passo.
Non
si accorse di essersi allontanata, con sciagurata imperizia, dalla sicurezza
dell'albergo.
Si
voltò indietro e si sentì perduta.
Dov'era
la porta da cui era appena uscita?
Un
ululato squarciò il silenzio della notte.
Elina
sentì il cuore balzarle in petto e corse indietro.
Il
portone non esisteva più.
C'era
solo nebbia, fredda e cupa.
E
quell'ululato!
Risuonava
attutito; ma ovunque, incombente intorno a lei.
Poi
vide l'ombra.
Enorme,
tenebrosa e angosciante.
Minacciosa
e spaventosa.
Schizzò
indietro e riprese a correre.
All'improvviso,
le apparve la forma di un arco.
Era
quello del mercato che si alzava, slanciato, nei vapori grigi della bruma.
Strinse
il medaglione tra le mani e corse a perdifiato.
Oltrepassò
l'arco; ma il mercato non c'era.
Solo
un antico chiostro illuminato da una luna pallida ed evanescente.
Riconobbe
l'immagine della stampa rappresentata nel libro che aveva acquistato: il
chiostro con la massa di rovi scuri al centro e il porticato elegante, con le
sottili colonne chiare a sostenere gli archi gotici.
Continuò
a correre.
Aveva
la bocca secca e il respiro corto.
Dalla
massa di rovi si allungarono, maligni, dei rami a modo di scheletriche dita.
Incespicò,
vacillò, picchiò un ginocchio a terra; si rialzò; sentiva l'ombra tenebrosa
sempre più vicina, opprimente e agghiacciante.
Si
sentì ghermire alle spalle.
Si
sottrasse alla presa abbandonando, con sforzo, il cappotto.
L'aria
gelida la avvolse ancora; e una raffica di vento le scompigliò i capelli.
Elina
urlò, invocando aiuto.
Strillò,
nel nulla della notte, mentre l'ombra prendeva forma davanti a lei, enorme.
Era
un’immagine terrificante.
La
guardò con un ghigno diabolico mentre mostrava lunghi canini affilati.
Lei
invertì ancora la direzione.
Aveva
il cuore in gola e il respiro spezzato. Davanti c’era solo un cumulo di rovi.
Crescevano e crescevano; e si protendevano verso di lei.
La
raggiunsero.
Si
coprì il viso per preservarlo dai graffi che, invece, le rigarono le mani e le
braccia.
Si
ritrasse con uno scatto di lato; ma le spine erano arrivate alle sue caviglie.
Cadde
di nuovo sulle ginocchia.
Il
medaglione finì e tra gli aculei.
Cercò
di riprenderlo.
Con
la punta delle dita sfiorò il cammeo.
Questi
si aprì; e apparve l’immagine del giovane dalla pallida carnagione. Le iridi
nere scintillavano nella notte; sembravano riflettere i raggi della luna.
Elina
per l'ultima volta implorò aiuto.
L'ombra
scendeva implacabile a ghermirla.
Serrò
le palpebre; emise un ultimo disperato urlo.
Un
urlo che attraversò le nuvole e si perse nel cielo.
Poi
fu solo silenzio.
Il
volto del giovane era scomparso. I suoi occhi erano stati inglobati
dall'oscurità.
Tutto
era fermo. Solamente un’aria glaciale muoveva, come uno spiro di morte, i suoi
lisci capelli biondi.
Un
lungo e prepotente spino era sgorgato dal terreno.
Lentamente
riaprì gli occhi. La sua bocca cercava l'aria tra brevi singulti.
Una
nuova luce rischiarava il terreno.
L’ombra
spaventosa era svanita.
Dallo
spino era sbocciata una rosa nera.
Il
suo stelo mostrava una macchia di sangue, mentre i suoi petali ricevevano il
bacio sensuale della luna.
Elina
era rimasta con indosso la sola camicia da notte e rabbrividì nell'aria gelida
diventata tersa.
Un
mantello nero la avvolse. Ebbe la sensazione di una dolce carezza che si
trasformò in un abbraccio forte, a riscaldare la pelle intirizzita; e si
abbandonò in un delicato amplesso.
La rosa nera è un romanzo di Ida Daneri
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