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ANTONIO DI CARPEGNA FALCONIERI
IL TORRENTE MUTINO
Foto di Pixabay
Era, ricordo, una tiepida
giornata di aprile. Quel pomeriggio, all’hotel Ariminum di Riccione, partecipai
a un convegno sull’ambiente il cui titolo era I fiumi del Pesarese,
del Riminese e del Montefeltro. Dopo le relazioni di Paolo Marcelli sul
Foglia, di Maria Coralloni sul Conca e di Gioconda Crisostomi sul Marecchia, il
professor Filippo Montano di Rio Lucente parlò al numeroso pubblico ivi
presente del Mutino, affluente (come l’Apsa e altri corsi d’acqua di minore
importanza) del Foglia e uno dei torrenti, dicono, più spettacolari delle
Marche se non di tutta l’Italia:
"Alcuni anni fa le acque
del Mutino erano contaminate dai liquami prodotti da certi suini allevati non
ricordo se a Carpegna, Frontino o Piandimeleto. Inoltre, alcune donne di
Monastero e di Cavoleto, invece di usare la lavatrice, si dilettavano, come le
loro quadrisavole, a lavare i panni nel torrente; ovviamente, però, al posto
della cenere utilizzavano saponi e detersivi quanto mai tossici. Ora,
fortunatamente, il Mutino è tornato a essere limpido e cristallino: nella sua
corrente nuota nuovamente un’incredibile quantità di trote. Care ascoltatrici e
cari ascoltatori, vorrei, poi, informarvi di un fatto curioso accaduto di
recente: Eurosia Bianchini, la genetista santarcangiolese che voi tutti credo
conosciate, se non di persona, sicuramente di fama, dopo aver fuso una cellula
di trota con una cellula umana, è riuscita a produrre in laboratorio una
graziosa sirena di piccola taglia che ora fa compagnia ai pesci del Mutino;
pare che proprio ieri il curioso ibrido abbia raggiunto il Foglia e che qualche
bagnante lo abbia visto sguazzare e saltare a mo’ di delfino nell'azzurro
specchio di Mercatale...".
Mentre Filippo Montano
continuava la sua conferenza (che io filmavo in 3D col mio smartphone e
Drusilla Petronilla, la mia fedele segretaria-robot, stenografava con un
pennino sulla sua lavagnetta elettronica), mi misi a osservare il suo aspetto
decisamente fuori dall’ordinario: un’enorme massa di capelli rosso pompeiano
lunghi lunghi e tutti arruffati, un viso rotondo, due spesse lenti rotonde
anch'esse, un naso patatiforme, una cravatta a farfalla color smeraldo
tremendamente dandy, una camicia verdina quadrettata e un vestito scozzese a
scacchi rossi e verdi, che copriva il suo fisico obeso. Alla fine del convegno
andai a salutarlo e a presentarmi. Il professore mi regalò una copia di Miti e leggende del
Mutino, l’ultimo libro che aveva scritto. Mi diede, poi, uno strano
biglietto da visita con stampato: "Cavaliere professore don Filippo Maria
Marfaldo Montano da Seminico, visconte di Rio Lucente e signore di
Intrafiumara, via Mutino n° 99999 (PU)"; con la penna stilografica scrisse
su di esso il suo numero di casa, di ufficio e di cellulare, la sua e-mail e il
suo sito web. Mi disse pure di avere un suo profilo sui principali social che a
quei tempi impazzavano: Facebook, Instagram, Linkedin e Twitter. Poi, da uno
dei taschini del gilet estrasse la grossa cipolla d’oro e, vedendo che s'era
fatto tardi, mi diede in fretta e furia la mano (non sudata, ma misteriosamente
bagnata e fresca, come se fosse stata appena immersa in un torrente di
montagna) e scappò: nonostante la mole, lo vidi correre con la velocità e
l’agilità di una gazzella.
A partire da quella sera, per
diverse sere, lessi il grosso volume del Montano. Un intero capitolo parla di
un'eclissi lunare avvenuta alla fine del decimo o all'inizio dell'undicesimo
secolo, fenomeno che spaventò mortalmente tutti gli abitanti della zona.
Secondo alcuni dotti del ‘600 che si occuparono della questione e ne studiarono
le fonti storiche (come le letterate Ulderica da Miratoio e Caterina da
Montecopiolo o il beato Riziero da Monteboaggine), invece, la Luna non sarebbe
scomparsa, oscurata dall'ombra della Terra, ma semplicemente sarebbe scesa a
bagnarsi nelle fresche acque del Mutino per poi risalire e riprendere il suo
posto di regina del cielo. In un altro capitolo si narra invece che una notte
d'estate tutte le stelle si sarebbero tuffate nel torrente e si sarebbero
trasformate in monete d'oro zecchino, monete che avrebbero reso ricchi
centinaia (il conteggio preciso sarebbe impossibile dati i tempi tanto lontani)
di contadini e pastori di quelle (allora) remote zone appenniniche. Se non
ricordo male, a circa metà libro, si parla anche di spaventosi esseri
demoniaci: di streghe acquatiche (verdognole, verde marcio, verde petrolio,
violacee o bluastre, emananti un fetore pestilenziale di pesce fradicio e
aventi boccacce rincagnate e bavose con lunghissimi denti neri e aguzzi, occhi
sporgenti e terrificanti, corna luciferine e orecchie a punta) che, tra grida
assordanti di sadico piacere, trasformando il fiume in un fiume di
sangue, farebbero affogare i bambini per poi farli a pezzi e divorarli; ma,
secondo il parere dell'autore (e anche del sottoscritto), questa è sicuramente
una mera invenzione di alcune madri preoccupate di mandare i propri figli a
fare il bagno nel Mutino; casomai, ipotizza il Montano, vi potrebbero essere
alcune fate di torrente, di assai leggiadra e rara bellezza, che verrebbero in
soccorso dei fanciulli in procinto di annegare. Il professore racconta, poi, di
persone che fin dai tempi degli antichi romani (ne parlano, infatti, diversi
autori latini, tra cui Marco Pitinense Rufo e Lucio Carpineo Fulvo, nei loro
esametri di stampo ludico) avrebbero visto uno spirito entrare e uscire
dall'acqua; trasformarsi in uomo, rana, salamandra, mosca, zanzara, pesce o
uccello; mostrarsi talora come essere (sia antropomorfo che zoomorfo) fatto
totalmente di acqua, fenomeno quantomeno inusuale per le leggi della fisica. In
uno degli ultimi capitoli si parla della testimonianza di un giovane pastore di
Spinagebbo, tale Pietro Ercolani detto “Pumidor[1]”,
che, nel lontano 1819, vide da dietro un cespuglio Gaspare di
Carpegna seduto su di un grosso masso nei pressi del torrente: era addolorato
perché, avendo il papa di allora Pio VII sottomesso la Carpegna, il
giorno dopo avrebbe abbandonato per sempre la sua contea; si sfogava
col Mutino domandandosi se il suo piccolo regno sarebbe rimasto per sempre
sotto la Chiesa o se, un giorno, sarebbe passato nelle grinfie di qualche altro
Stato (“magari”, pensava, “giacobino e miscredente”), infine, se, prima o poi,
sarebbe tornato nelle mani della sua famiglia. Sembra che, mentre Gaspare
parlava, le acque del Mutino formassero un grosso orecchio per ascoltare e
registrare le sue parole e che poi, appena egli tacque, creassero un occhio
gigantesco per immortalare l'immagine dell'ultimo conte ad aver avuto signoria
sulla Carpegna.
All'inizio di luglio di
quell’anno, quando telefonai al Montano, oltre alla sua vocetta nasale,
alquanto snob e con forte erre moscia, udii un ameno e misterioso rumore di
acque scroscianti. Ci demmo appuntamento all'incrocio tra la provinciale per
San Sisto e la mulattiera per Ca' Giorgetto. L'eccentrico professore (che,
questa volta, indossava un abito di lino arancione e un farfallino turchino a
pallini color salmone) quando mi vide, mi fece un sorriso beffardo e mi diede
nuovamente la sua mano bagnata. Arrivammo al podere di Ca' Giorgetto, scendemmo
per il fosso sottostante e raggiungemmo il Mutino, in un punto dove l'acqua è
profonda due o tre metri e d’estate i bambini di Carpegna sono soliti passare
intere giornate. Il Montano, dopo avermi spiegato in quanto tempo avesse
scritto il libro e narrato di come fosse venuto a conoscenza di tutte le
leggende, mi disse: "Il Signorino in questa splendida giornata non
penserebbe di immergere le sue nobili e leggiadre membra in queste meravigliose
e salutari acque?" e si buttò con tutti i vestiti schizzandomi a più non
posso. Quando fu nel torrente, non vidi più il suo volto rubicondo, bensì un
faccione tutto trasparente e un fisico costituito totalmente d'acqua. Guardai attonito
il professore e questi si mise a ridere e, sfottendomi nel suo curioso idioma
nativo gallo-piceno, mi disse: "T'si 'nvurnit? T’si
drugat?... T’me fa ‘na faccia!.../ Fa cald, cuchin: ven drenta st'acqua
giaccia![2]"; poi scomparve nel fragore della corrente. Dopo un
po' vidi la piccola sirena “bianchinesca” insieme a uno stuolo di altre strane
creature, di donne piccine dagli occhi di lapislazzuli che avevano pinne al
posto di mani e piedi: sicuramente erano fate acquatiche; sia la sirenetta che
le fatine avevano dei visetti allegri, graziosi e pieni di lentiggini e dei
lunghissimi capelli color carota; mi lanciarono contemporaneamente uno sguardo
di dolce sarcasmo e mi sorrisero in modo burlesco. Udii, poi, le amare parole
del conte Gaspare e ne vidi la dolorosa immagine tremolare tra le piccole onde.
Decisi, a questo punto, di aspettare e di restare anche coll’oscurità: forse,
prima la Luna e poi tutte le stelle dell’universo si sarebbero bagnate nel
Mutino; infatti così avvenne: a mezzanotte in punto la Luna si staccò dalla
volta del cielo e si tuffò e poco dopo le sue sorelle fecero la stessa cosa;
così, nell'acqua, divenuta tutta un tremolio d’argento, si aggiunse un magico
luccicare di bagliori dorati: i bagliori di miriadi e miriadi di monetine.
[1] Pomodoro
[2] Sei rimbambito? Sei
drogato?... Mi fai una faccia!... / Fa caldo, cocchino, vieni dentro
quest'acqua gelata!
Il torrente Mutino è un racconto di Antonio di Carpegna
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