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PAOLA TASSINARI
IL VOLO DEL GRUCCIONE
Capitolo 1
I capelli scuri raccolti in due codini
Stava pedalando
alacremente pigiando con la punta dei piedi, calzati da infradito decorati con
margherite nere, sui pedali della sua bici mezzo scassata (a Ravenna era meglio
avere un mezzo sgangherato, così si correva meno il rischio che lo rubassero) lungo
la stradina che congiungeva la pista ciclabile di Punta Marina con quella di
Marina di Ravenna.
Era una bella
giornata, un po’ afosa in realtà, di fine agosto, ma andando in bicicletta si
sentiva sempre un po’ d’aria e lei aveva un abitino nero molto leggero, molto
scollato, molto corto, i capelli scuri raccolti in due codini che le
incorniciavano il volto abbronzato spruzzato di efelidi e un cappello color
crema vaniglia a larghe tese.
Sul cestino davanti
alla bici la borsa di paglia con l’interno foderato di stoffa a quadretti
Vichy, un tessuto di origine francese che prende il nome dall’omonima città, le
cui estremità svolazzavano allegramente.
Pedalava felice
sentendosi carina quasi come Brigitte Bardot. In effetti i codini, il cappello
e il quadretto Vichy, erano tre oggetti identificativi dell’incantevole Bardot,
che pure si sposò, con Jacques Charrier, suo secondo marito, con un abito a
quadretti Vichy bianchi e rosa.
Pedalava felice e
cosciente del presente, dei fiori campestri, dei campi arati di fresco, dei
profumi intensi delle foglie di fico, delle anatre e delle gallinelle d’acqua
che zampettavano dentro il canale di acqua che scorreva lungo la via.
Pedalava felice,
attenta che non sopraggiungessero le solite grosse nutrie, ve ne erano quattro o
cinque, che stazionavano nella stessa posizione da anni. Se le avesse viste
all’improvviso si sarebbe spaventata. Trovava orribile la loro grossa e lunga
coda di topo. Se, invece, fosse stata in guardia avrebbe osservato solo il loro
muso baffuto e, così, le avrebbe trovate pure carine.
La storia delle
nutrie è uno di quei casi della vita che sono talmente assurdi che fanno
pensare che l’uomo sia proprio scemo. Questi poveri animali che, con
quella
La nutria è
originaria del Sud e del Centro America, ma fu introdotta in Italia e in altri
paesi europei per l’utilizzo in pellicceria; in Italia apparve, per la prima
volta in Piemonte, all’inizio degli anni Venti, poi sempre più massicciamente con
l’aumento della richiesta voluttuaria. Erano più o meno gli anni Settanta
quando scoppiò il boom delle pellicce, e il boom di improvvisati allevatori di
nutrie, divenuti piccoli imprenditori come loro secondo lavoro.
La pelliccia
rappresentò fin dai tempi lontani il potere e lo status aristocratico, poi
avvolse le spalle delle dive del cinema e delle donne ricche e di classe, ma
negli anni Settanta le pellicce arrivarono sulle spalle di tutti, anche gli
uomini giravano con la pelliccia, non solo all’interno dei cappotti ma anche
esternamente, sembrando quasi dei gorilla. Tutti volevano almeno una
pelliccetta e così per i poveri vi era quella di
Purtroppo, la nutria
diventò ben presto un animale dannoso, a causa della sua voracità che
minacciava, oltre alla fauna acquatica, anche colture di barbabietole da
zucchero, mais, patate e altro, inoltre scavava buche determinando il crollo
degli argini dei fiumi.
Ecco che così per il
povero animale fu legalizzato lo sterminio e l’abbattimento, poi revocato.
Intanto si muovevano
due fronti popolari, chi proponeva il consumo alimentare della nutria giudicata
simile alla carne del coniglio e chi all’opposto era disposto ad offrire 50
euro per ogni nutria consegnata viva per poterla tenere nei suoi terreni. In
mezzo a queste stramberie, finalmente oggi, dei progetti di controllo sulle
colonie delle nutrie tramite la sterilizzazione… ci voleva tanto per pensare
questa cosa?
«Biiip…
biiip…Sckreeech … puttana guarda che ti spiano!»
Stava pedalando
pensando alle nutrie, quando intravide sul margine del viale un uccello
colorato, con le ali aperte e il lungo becco sottile, una macchia verde semi
schiacciata. Lo guardò oltrepassandolo poi si bloccò e svoltò all’improvviso
per tornare indietro, per accertarsi che fosse veramente morto, tagliando la
strada al beneducato automobilista.
Aveva sbagliato lei,
quindi mandò giù il rospo dell’offesa, ogni tanto incappava in qualche fenomeno
di pilota e si chinò a raccogliere il volatile che era ancora vivo.
«Wroom… wroom»,
l’automobilista sfrecciò via, mentre Lyuba con l’uccello giallo verde, blu e
rosso nella mano destra, risalì sulla bici pensando al da farsi dicendo tra sé
e sé… se si vuole offendere una donna la si chiama puttana, se le si vuole far
del male la si stupra, perché tanto astio con l’organo femminile che dà la
vita?
Il volatile
inizialmente frullava le ali cercando di scappare dalla sua leggera stretta di
mano, poi si acquietò.
Più o meno
precariamente guidando la bici con la sinistra, arrivò al suo appartamento, non
prima di essersi fermata alla Coop per recuperare una scatola di cartone.
Riuscì con una certa
difficoltà ad aprire il portone, salì le scale, arrivò sulla terrazza dove
lasciò la scatola di cartone con dentro il volatile, aprì la porta di casa,
trovò una ciotola dove mise un po’ d’acqua dal rubinetto e si diresse
velocemente dal pennuto per dargli da bere, rimanendo soddisfatta perché ne
bevve un bel po’.
Nella rubrica del suo
telefonino era sicura di avere il numero di telefono del Centro recupero
animali selvatici, tutto stava nel trovarlo.
Lyuba aveva il vizio
di accorciare i nomi o addirittura di cambiarli, ritenendo così di trovarli poi
facilmente, invece creava un gran casino perché poi li dimenticava.
Dopo aver provato
vari termini provò con
Sorrise fra sé solo
lei poteva affibbiare al Centro di recupero di animali un tale vocabolo così
poco elegante e soprattutto equivoco.
«Pronto, recupero
avifauna?»
«Sì, mi dica.»
«Ho trovato un
uccello, piuttosto grande, bello e colorato ma mezzo morto.»
Dopo le risposte alle
domande su dove lo avesse trovato, se avesse ferite esterne, se gli avesse dato
dell’acqua ecc., le chiese di inviargli una foto, cosa che Lyuba fece.
«È un Gruccione,
nidifica facendo un cunicolo nelle dune di sabbia poi ai primi freddi sverna in
Africa. Sì, è un bel volatile dall’aspetto particolarmente elegante e la livrea
variopinta. Si nutre di insetti è ghiotto di api, può consumarne anche fino a 200-250
al giorno, lei però può dargli dei croccantini, quelli del gatto vanno bene,
bagnati nell’acqua oppure dello zucchero e poi domattina ce lo porta o se vuole
ce lo porta ora, siamo appena fuori Ravenna nella zona Bassette.»
«Va bene, mi dia
l’indirizzo esatto.»
«Oh, lo troverà
facilmente siamo all’inizio di Via degli Zingari caduti nei lager.»
«Vengo domattina,
grazie, buonasera.»
Lyuba non aveva mai
sentito nominare una tale via e non aveva intenzione di inoltrarsi di sera
nella zona periferica delle Bassette che conosceva assai poco.
Non aveva il gatto e
quindi non aveva i croccantini, decise di dare al Gruccione dello zucchero, ma
il pennuto dopo aver bevuto, stava in un angolo della scatola con gli occhi, le
ali e il becco serrati e non ci fu verso di farglielo aprire. Lo lasciò stare e
andò a prepararsi qualcosa da mangiare, ma non aveva voglia di cucinare e si
preparò un panino con mozzarella, insalata e alici, poi sparecchiò, fece una
doccia e andò a letto con qualche senso di colpa.
Il volo del gruccione è un romanzo di Paola Tassinari
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